Carola atea, Matteo devoto | Qualcosa non torna - Live Sicilia

Carola atea, Matteo devoto | Qualcosa non torna

Qualcuno può risolvere il dubbio che mi assilla?

Semaforo russo
di
3 min di lettura

Qualcuno, per favore, risolva l’atroce dubbio che come credente, onestamente parecchio manchevole, e al contempo cittadino di questa repubblica mi tormenta da settimane. Il Papa, il mio vescovo, il presidente Mattarella, i vertici della UE, il segretario generale dell’Onu (ognuno per la parte di competenza), magari voi stessi, cortesi lettori, qualcuno pronunci insomma una parola di chiarezza.

Mi spiego. All’improvviso e obtorto collo – per carità, avrei potuto spegnere il computer, la televisione, non frequentare gli amici ed evitare di acquistare i giornali – sono stato costretto, non solo io ovviamente, a fare i conti con i due protagonisti di una nota vicenda che tiene ancora banco: Carola Rackete, comandante della ong “Sea-Watch”, e Matteo Salvini, leader della Lega, vicepremier e ministro dell’Interno. Bene, al di là delle legittime opposte opinioni in proposito che hanno infiammato il dibattito soprattutto sui social, con annesso squadrismo mediatico fatto di insulti inenarrabili alla capitana e al giudice che non ne ha voluto convalidare l’arresto, ma anche Salvini pare riceva minacce, ciò che mi ha davvero scosso è all’apparenza una stridente contraddizione logica, etica e religiosa foriera di mille interrogativi.

Uno schiaffo in faccia, una sorta di corto circuito esistenziale da cui non riesco a uscire nella duplice veste di uomo di fede (secondo il Vangelo di Cristo) e di laico (rispettoso della Costituzione e delle leggi). Da un lato abbiamo la Rackete che in un’intervista si è dichiarata esplicitamente atea e va in giro per i mari a salvare vite umane – se violando leggi lo deve decretare un processo penale e se leggi conformi alla Costituzione e ai trattati internazionali la Corte costituzionale e i tribunali se interpellati – oggettivamente in sintonia con i continui interventi del Pontefice sul dramma dei migranti.

Dall’altro, un devoto figlio di Maria – così si è presentato – responsabile dell’ordine pubblico che brandendo crocifissi e baciando rosari lascia per giorni e giorni sulle navi di salvataggio – non importa se della Marina Militare o delle odiate Ong – donne e uomini strappati, quando si arriva in tempo, a un infausto destino tra le onde (una condizione di oggettiva sofferenza, seppure doverosamente assistiti, a cui nessuno di noi si sottoporrebbe) mentre tratta con l’Europa su chi deve “caricarseli”.

Il ministro dice che lo fa per tutelare gli italiani, per una giusta causa e in applicazione delle norme vigenti – qui non potrà esserci un giudice a confermarlo o meno perché Salvini si è sottratto al giudizio in occasione del caso “Diciotti” – assolutamente indifferente ai fischi dei suoi ammiratori rivolti a papa Francesco appena lo si nomina. Come se il magistero del successore di Pietro, centrale nella dottrina cattolico-apostolica-romana, fosse un dettaglio e il Santo Padre assimilabile a un Giuseppe Conte “alla vaticana” da scavalcare senza tanti complimenti.

Ecco il punto. Da cattolico claudicante, malamente praticante, e da cittadino però ossequioso delle leggi impazzisco e non ci capisco più niente. Un’atea insegna con le opere di paolina memoria a me credente, forse infrangendo la legge, l’amore evangelico per il prossimo, gli ultimi, i discriminati; al contrario, un cattolico devoto della Madonna m’impone, simboli religiosi alla mano, di anteporre la sacrosanta difesa dei confini e dell’interesse nazionale al ristoro immediato a favore di disperati fuggiti chissà da quali orrori, definendo “criminale”, “pirata” e “sbruffoncella” la miscredente che fa la concorrenza, senza volerlo, agli aspiranti santi. Qualcosa non mi torna.


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