"La bontà, i pappagalli, la Sicilia | Cosa ci ha lasciato lo zio Andrea" - Live Sicilia

“La bontà, i pappagalli, la Sicilia | Cosa ci ha lasciato lo zio Andrea”

La morte di Camilleri. Parlano gli scrittori, chi lo ha conosciuto, chi non avrebbe mai voluto separarsi da lui.

Un uomo solo, nel chiarore della sua cecità. Ma solo. Con la sua notte in arrivo al binario unico. E chissà se col rintocco di una sensibilità che annuncia il distacco come in una poesia che, purtroppo, non si studia a scuola: “Amici, credo che sia meglio per me cominciare a tirar giù la valigia. Anche se non so bene l’ora d’arrivo, e neppure conosca quali stazioni precedano la mia, sicuri segni mi dicono, da quanto m’è giunto all’orecchio di questi luoghi, ch’io vi dovrò presto lasciare”.  Non la scansione dei versi, parole distese in forma di sentiero o rotaia. E il viaggio che si conclude. E ancora altre parole grate di chi ha condiviso con quell’uomo solo la vocazione di narrare, ognuno a suo modo.

Dice Roberto Alajmo, scrittore siciliano: “Andrea Camilleri ci lascia un universo immenso. Il corpus dei suoi libri è la Sicilia. Qualcuno non gli ha perdonato il successo. Era la persona più generosa che si potesse immaginare e, appunto, tornando al successo, era stato vaccinato dai rischi delle lusinghe perché lo aveva conosciuto da grande. Non si è mai sottratto quando c’era da sostenere un giovane, una causa. Lo abbiamo amato moltissimo oltre i suoi libri. E tanti dei suoi libri, fra i tantissimi che ne ha pubblicati, resteranno”. E allora si capisce che quell’uomo non ha lasciato soltanto la carta e l’inchiostro, il cui profumo sarebbe già una benedizione sufficiente. C’è molto di più.

Dice Davide Enia, scrittore siciliano: “L’eredità di Camilleri verrà compresa davvero tra un po’ di anni. A dispetto dell’età, è sempre stato presentissimo al presente, tanto che nelle sue opere ci sono continui riferimenti all’attualità. Era una testa libera da pregiudizi, pensante, che manteneva uno sguardo stupefatto e curioso del mondo”. Lo stupore come antidoto alla noia e alla vecchiaia, intesa nel senso letterario e parziale della decadenza.

Dice Cetta Brancato, scrittrice siciliana: “Andrea Camilleri ci lascia la fatica della parola e un linguaggio nuovo. Era un uomo di grande esperienza, uno scrittore non isolato, il vecchio gentiluomo che passeggia in una piazza da cui si può scrutare l’infinito. Era un affabulatore quando parlava, quando scriveva, quando chiacchierava. E’ stato regista di un mio lavoro, ha scritto la prefazione di un mio libro. Era un generoso ed era sempre uguale a se stesso, con una dolcezza indifesa protetta da un finto cinismo. Quando ci incontrammo la prima volta, ci fu un quarto d’ora di silenzio. Poi lui cominciò a narrarmi, con molta serietà e molta ironia insieme, la storia di un pappagallino che amava follemente. Una persona trasparente, nella sua immensità”. Un pappagallino e una piazza. Cos’altro serve a un poeta per mostrarti l’infinito?

Gaetano Savatteri, scrittore siciliano, dice: “Andrea Camilleri ci lascia una nuova dimensione della nostra terra. Lui è stato l’ultimo scrittore del nostro Novecento, come se si chiudesse un’epoca iniziata con Verga e Pirandello. Ha lasciato la possibilità di una Sicilia raccontata con l’umorismo e con il disincanto. Era generoso (aggettivo che ricorre ndr). Aiutava i giovani autori con prefazioni e presentazioni. Quando accadde per il mio primo libro mi disse: ‘Mi è piaciuto molto, ma tanto l’avrei presentato lo stesso, anche se non mi piaceva…’. Lui era lo zio Andrea, uno zio di Sicilia”. Si avverte così, intorno a quella notte, la traccia di una luce resistente che non è solo ammirazione per l’arte, ma amicizia per l’umanità.

“Buon viaggio Maestro… La voglio ricordare così, con il sorriso”, ecco il congedo di Fiorello, siciliano, un altro che ha amato molto lo ‘zio Andrea’.  E il siciliano adottivo Luca Zingaretti Montalbanosono: “Adesso te ne vai e mi lasci con un senso incolmabile di vuoto, ma so che ogni volta che dirò, anche da solo, nella mia testa, ‘Montalbano sono!’ dovunque te ne sia andato sorriderai sornione, magari fumandoti una sigaretta e facendomi l’occhiolino in segno di intesa, come l’ultima volta che ci siamo visti a Siracusa. Addio maestro e amico, la terra ti sia lieve! Tuo Luca”. 

“Ora che più forte sento stridere il freno, vi lascio davvero, amici. Addio. Di questo, sono certo: io son giunto alla disperazione calma, senza sgomento. Scendo. Buon proseguimento”. E queste sono le parole di una poesia di Giorgio Caproni che non si studia a scuola, distese in forma di rotaia nell’ora dei saluti. Era un livornese, Caproni. Ma, forse, vanno bene lo stesso.


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