Anziani e sempre al potere | Gli irredimibili di Cosa nostra - Live Sicilia

Anziani e sempre al potere | Gli irredimibili di Cosa nostra

Tommaso Inzerillo

Buscemi, Inzerillo, Sansone, Gambino: i vecchi capi sono tornati in carcere

PALERMO – “Due, tre mesi dopo che lui è uscito dal carcere mi ha cercato lui e io ci sono andato molto volentieri”, così racconta Filippo Bisconti, boss di Belmonte di Mezzagno e oggi pentito.

A cercarlo era stato Giovanni Buscemi, 64 anni, un terzo dei quali vissuto in carcere. È uno degli irredimibili di Cosa Nostra. In cella c’è tornato ieri nel blitz della polizia. I pubblici ministeri della Dda di Palermo lo piazzano al vertice del mandamento di Passo di Rigano. All’uscita dagli uffici della squadra mobile, lui come altri, ha mostrato gli acciacchi per la vecchiaia che avanza. Nella nuova Cosa Nostra si guarda al passato per ritrovare i fasti criminali perduti. Lo Stato, però, non dà tregua e i vecchi boss tornano in carcere.    

Fedelissimo di Totò Rina, arrestato la prima volta nel dicembre 1994, dopo un periodo di latitanza, Buscemi era stato condannato all’ergastolo per l’omicidio di Giovanni Giordano, di cui aveva anche sciolto il cadavere nell’acido. Il “fine pena mai”, il 6 aprile 2018, gli è stato commutato in una condanna a trent’anni. La Cassazione ha infine respinto il ricorso della Procura generale di Palermo. Per Buscemi si sono spalancate le porte del carcere. E si è ripreso il suo posto da parigrado, se non superiore, a quello occupato da Tommaso Inzerillo. È iniziata la processione a casa sua per rendergli omaggio. E Buscemi non si è tirato indietro. Anzi, ha accolto tutti organizzando dei banchetti. Giuseppe Spatola, pure lui arrestato ieri, lo paragonava ad un altro pezzo grosso: “… minchia mi piace… per me Giovanni è tipo mio zio Franco, un altro mio zio Franco”.

E cioè Francesco Inzerillo, 63 anni, uno dei figli maschi, l’altro è Rosario, di Giuseppe sopravvissuti alla guerra di mafia degli anni Ottanta. Il fratello Totuccio fu uno dei primi a cadere sotto i colpi dei corleonesi. Francesco Inzerillo, ‘u truttaturi, l’ha sempre fatta franca. Coinvolto nel 1988 nell’operazione Iron Tower, è stato  assolto nel 1999 dal reato di associazione mafiosa. Nel 1997 fu espulso dagli Stati Uniti e arrestato al momento del suo arrivo a Roma. Nel 2006 di nuovo in cella nel blitz Gotha e la condanna a dieci anni e mezzo, in primo e secondo grado. La Cassazione annullò il verdetto. Fu necessario celebrare un nuovo processo di appello, al termine del quale i giudici scrissero che “non appare delineabile una sicura compenetrazione dinamica dell’Inzerillo in Cosa Nostra, atteso pure che dai servizi di osservazione, si evidenziavano soltanto sporadici incontri dell’imputato proprio con quei soggetti, per lo più suoi parenti, che venivano direttamente ad interessarsi della questione dell’allontanamento dalla Sicilia”.

Tommaso Inzerillo, che di anni ne ha 70, ha iniziato a fare parlare di se quattro decenni fa. Il 25 giugno del 1980, Masino si rese irreperibile. Il mandato di cattura era firmato dall’allora giudice istruttore Giovanni Falcone per associazione a delinquere finalizzata all’esportazione di valuta e allo spaccio di sostanze stupefacenti. Lo scovarono alla fine degli anni Ottanta nella Repubblica Dominicana. Estradato in Italia, fu condannato a 23 anni. Nell’ottobre del 2005 gli fu concesso il regime della semilibertà ma – siamo a giugno del 2006 – un nuovo arrestato per mafia nel blitz Gotha e la successiva condanna a 10 anni. Ha rischiato l’ergastolo per l’accusa di avere attirato in trappola i parentiPietro e Antonio Inzerillo, dandoli in pasto ai corleonesi in cambio della sua stessa vita. Fu assolto dell’omicidio e scarcerato il 15 novembre 2013. Secondo tutti i pentiti, è lui l’uomo forte a Passo di Rigano e la scelta di affidare a Buscemi il compito di partecipare alla nuova cupola è stata una mossa per evitare guai.

“Sono sereno. Lo sono sempre stato. Dopo tutto quello che ho passato, adesso mi godrò la mia famiglia”, diceva Rosario Gambino, 77 ani, il narcotrafficante indagato da Giovanni Falconeil giorno che lo mandarono assolto a Palermo. Era il 2014. In città c’era tornato dopo 55 anni. Rosario Gambino, nipote di Joseph, il capo dei capi della mafia americana, oltreoceano aveva cercato fortuna e vi ha trovò  le manette.

Mentre la mafia ammazzava prima Falcone e poi Paolo Borsellino, Gambino stava scontando i 25 anni di carcere che gli erano stati inflitti in America. Nel dicembre del 2010 era stato condannato a vent’anni pure in Italia. Condanna annullata con rinvio dalla Cassazione. Da qui la necessità di celebrare un nuovo dibattimento di secondo grado. Saro l’americano si è stabilito nel rione Borgo Nuovo. Si è fatto notare per i suoi metodi violenti. I litigi erano all’ordine del giorno. Gambino era entrato in contrasto con Baldassare Migliore: “… lui gli ha detto a Baldo, dice: qua non ci devi avvicinare più… a Borgo Nuovo avantieri, ha litigato a Borgo Nuovo con altre persone litiga con chiunque, lo hai capito, e qua … a lui gli sembra… mio cugino Franco, faceva come un vitello”.

Solo un altro vecchio, Gaetano Sansone, aveva l’autorità per tenerne a bada l’esuberanza. Classe 1941, Tanino Sansone, più vecchio di nove anni del fratello Giuseppe, è un altro nome storico nella mafia palermitana. Pure lui è un irredimibile. Già condannato per mafia e legato a Totò Riina, di lui i nuovi pentiti hanno detto che “è come la Svizzera”. Filippo Bisconti ha spiegato il senso dell’affermazione: “… praticamente se ne fregavano (c’è di mezzo anche il fratello Giuseppe, ndr) di fare riferimento a qualcuno, che loro praticamente non intendevano incontrare nessuno, quando avevano bisogno di qualche cosa se la risolvevano loro stessi, non andavano a cercare nessuno. Per Svizzera s’intendeva che non volessero fare riferimento a chicchessia, proprio questo specifico argomento era il senso di questa Svizzera, tra virgolette”. E con questa autorità da grandi vecchi avrebbero gestito la famiglia dell’Uditore.


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