“Dubbi sui fondi, Sanità a rischio” | Bilancio, 'mazzata' della Consulta - Live Sicilia

“Dubbi sui fondi, Sanità a rischio” | Bilancio, ‘mazzata’ della Consulta

La Corte costituzionale: illegittimi 2 articoli della finanziaria 2018. La replica di Armao.

PALERMO – Ancora ombre sui conti della RegioneLa Corte Costituzionale ha emanato una sentenza che dichiara incostituzionale due articoli della finanziaria del 2018, che avrebbero “ampliato artificiosamente le risorse disponibili”. Dubbi anche su altre disposizioni approvate nella scorsa sessione di bilancio. E poi ancora, anche a Palermo, altri giudici, quelli della Corte dei conti avrebbero avanzato osservazioni sui conti pubblici regionali tanto che il giudizio di parifica sul rendiconto 2018 che in genere viene emesso dalla Corte dei conti negli ultimi giorni di luglio non è stato ancora definito. Se ne parlerà dopo l’estate.

I milioni che “non tornano”

I conti non tornano in via Notarbartolo a Palermo ma non tornano neanche a Palazzo della Consulta a Roma. Nella sentenza pubblicata ieri i giudici della Corte Costituzionale hanno dichiarato l’illegittimità di alcune norme che prevedevano un’entrata di circa otto milioni senza che però ci fosse un “titolo giuridico appropriato e di una stima credibile”. Le somme insomma sono state scritte ma la loro reale riscossione è fortemente messa in dubbio dalla Consulta che piuttosto ha ritenuto che la creazione di questa entrata abbia “ampliato artificiosamente le risorse disponibili, consentendo spese oltre il limite del naturale equilibrio” di bilancio. 

Secondo l’impugnativa del Consiglio dei ministri, “le autorizzazioni all’accertamento in bilancio dei predetti contributi pubblici, disciplinate con le disposizioni impugnate, sarebbero apodittiche, generiche e prive del presupposto giuridico, trattandosi di norme risalenti, che, in corso di anno e a distanza di tanto tempo dalla loro emanazione, non potrebbero verosimilmente generare entrate nella misura determinata a priori dal legislatore regionale”. Una censura accolta dalla Corte costituzionale.

Si tratta di soli otto milioni ma per la Consulta il calcolo scorretto sarebbe comunque grave: avrebbe causato infatti “ inevitabilmente la mancata copertura di una parte della spesa per effetto dell’iscrizione invalida nel bilancio della posta attiva non attendibilmente stimata”. Le conseguenze così riguarderebbero infatti il “risultato di amministrazione che viene a peggiorare in misura pari all’entrata non realizzabile”.

La decisione di iscrivere a bilancio queste cifre sarebbe stata legata al recupero di somme congelate in banca: 6,6 milioni che erano stati erogati in forza di una legge del 1975 per l’ incentivazione dell’attività edilizia delle cooperative e di 1,4 milioni erogati per l’edilizia abitativa in applicazione di una legge del 1986. Si tratta, spiega la Corte, di somme che devono essere recuperate. La loro riscossione, però, sarebbe tutt’altro che certa: “Le pretese maggiori entrate – si legge infatti nella sentenza – si fondano sul mero avvio di procedure di recupero nei confronti degli istituti di credito relativamente a partite pregresse e notevolmente risalenti nel tempo, in relazione alle quali non può parlarsi di obbligazione attiva perfezionata, ma addirittura presumersi la probabile mancata realizzazione”. Per farla breve, secondo i giudici, è molto difficile che quei soldi entrino in bilancio: è più probabile, invece, che non vengano riscossi.

Sanità, i Lea “a rischio”

Su un altro punto, poi, per i giudici della Corte costituzionale “sussiste il dubbio che le disposizioni impugnate non siano conformi” alla Costituzione. Non solo, il rischio è “che comunque non sia assicurato neppure da parte dello Stato l’integrale finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni sanitarie”. Insomma, il dubbio della Consulta è che i fondi a disposizione non siano sufficienti per garantire i Lea della Sanità siciliana. L’assistenza necessaria. E su questo punto, quindi, sono chiamati in causa, sia la Regione che il governo di Roma.

L’articolo impugnato è il 31. Con esso, infatti, la Regione avrebbe previsto l’incasso delle accise per il finanziamento delle spese della Sanità. Gli argomenti dello Stato e della Regione sarebbero contrastanti e per questo non è chiaro se le somme  abbiano coperto la spesa per i livelli essenziali dell’assistenza sanitaria, sia che le abbia uscite lo Stato, sia che le abbia uscite la Regione. Per questo bisognerà presentare le prove che le accise riscosse siano servite per pagare le spese sanitarie.

Le altre norme in bilico

I chiarimenti richiesti dalla Corte costituzionale però non sono finiti qui. Sotto la scure dei giudici delle Leggi, infatti, ci sarebbero l’integrazione alla pensione dell’ente acquedotti siciliano. Dubbi infine ci sarebbero sull’articolo 99 che si occupa di riprogrammare i fondi nazionali di coesione. Per tutti questi capitoli rimasti aperti la Regione e lo Stato dovranno portare i loro chiarimenti. Poi la Consulta tornerà a esprimersi.

Armao: “La sentenza? Una occasione per la Sicilia”

“Questa sentenza – spiega l’assessore all’Economia Gaetano Armao – è una grande opportunità per la Sicilia. L’apertura di un’istruttoria sulla norma che riguarda i Lea della Sanità rappresenta l’apertura di una breccia che potrebbe portare al riconoscimento di 600 milioni di euro negati all’Isola. Con il governo Lombardo – continua Armao – la Regione impugnò il bilancio dello Stato. In quell’occasione si rivendicavano le somme non trasferite dallo Stato per la retrocessione delle accise. Quelle risorse erano riconosciute dalla legge ma negate dal bilancio statale. Nel 2013 la Corte costituzionale decise di non censurare quelle norme e rigettò la nostra impugnativa. Con il governo Musumeci – racconta l’assessore all’Economia – abbiamo deciso di iscrivere questa somma nel bilancio regionale per tornare a rivendicarla. Non l’abbiamo spesa ma l’abbiamo destinata a un fondo accantonato e inutilizzabile senza così portare alcuna alterazione dei conti. Se la Consulta avesse ritenuto che la Regione non ha diritto a quelle somme – conclude Gaetano Armao – avrebbe fatto riferimento alla sentenza del 2013 e avrebbe dichiarato incostituzionale la norma, invece, proprio il fatto che abbia avviato un’istruttoria che coinvolge lo Stato ci permette di dimostrare in concreto le nostre ragioni”.


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