Mandare all'inferno il Sud | Ecco cosa vuole la Lega - Live Sicilia

Mandare all’inferno il Sud | Ecco cosa vuole la Lega

Ecco qual è il progetto.

Semaforo russo
di
3 min di lettura

La mozione no- Tav del M5S, movimento ormai ridotto a una comparsa sul palcoscenico politico e mediatico interamente occupato da Matteo Salvini, è stata bocciata, mentre La Lega ha votato quella favorevole ai lavori targata PD. Elemento inedito, sotto il profilo costituzionale, il governo si è presentato nell’aula del Senato spaccato (assente il premier Conte), con due pareri diversi e contrapposti. Credo che non sia mai accaduto (già un simile evento configurerebbe una plateale crisi dell’Esecutivo).

C’è certamente un grosso problema nella maggioranza (oggi definirla tale è una battuta di spirito), ma c’è anche un grosso, immenso problema nel PD in cui parecchie decisioni vengono ancora assunte dai renziani. Per carità, legittimo, che faccia lui il segretario allora, Renzi, alla luce del sole al posto di Zingaretti, un capo a metà, se non si desidera celebrare l’auto-dissoluzione del partito alla vigilia di possibili elezioni provocando artatamente una scissione. Il PD probabilmente non avrebbe dovuto partecipare al voto sulla Tav lasciando esplodere le innumerevoli contraddizioni del matrimonio innaturale tra M5S e Lega.

Sembrerebbe, però, al momento – possiamo essere smentiti tra mezz’ora – che nessuno abbia davvero interesse ad aprire una crisi obbligandoci a seguire costantemente l’evolversi della situazione. Pare che il leader leghista abbia esortato i suoi, immediatamente dopo il voto, a non lasciare Roma, in realtà prende tempo e detta condizioni capestro per evitare il diluvio: rimpasto – fuori Toninelli, Tria e Trenta (e magari Bonafede) – e cambio del programma con saluti e baci al Contratto. Sostanzialmente entra da padrone in casa pentastellata sfasciando mobili e suppellettili.

La crisi sicuramente non la vuole il PD di Renzi perché molti senatori e deputati renziani non verrebbero ricandidati; non la vuole il M5S di Di Maio perché una grandissima parte dei grillini perderebbe il seggio, forse a cominciare da Di Maio stesso e, apparirà strano, potrebbe non volerla nemmeno Salvini benché incoraggiato dai sondaggi e assai pressato dai suoi colonnelli (vedi, ad esempio, i governatori leghisti di Lombardia, Veneto e Friuli Venezia Giulia) che pretendono, principalmente, la separazione del Nord dal Sud (chiamata elegantemente autonomia differenziata), abbandonando il Meridione sulla strada per l’inferno.

Il resto delle proposte, dalla flat tax alla riforma della giustizia, dai porti chiusi all’addio agli 80 euro e via discorrendo, sono solo dei fumogeni. L’obiettivo vero è scardinare il sistema costituzionale – la conversione in legge del decreto sicurezza bis è stato un primo passo – e il suo assetto unitario per raggiungere l’antico obiettivo separatista consacrato, agli albori del movimento guidato da Umberto Bossi, alle sorgenti del Po. Salvini la crisi potrebbe non volerla, se non costretto, almeno adesso, perché i sondaggi sono una cosa e le elezioni un’altra, soprattutto con riferimento agli astensionisti dei quali è difficile prevedere le mosse, perché in caso di vittoria schiacciante ricadrebbero su di lui scelte gravosissime sul fronte finanziario per il 2020 con la necessità di reperire una trentina di miliardi per scongiurare l’aumento dell’Iva e la procedura d’infrazione e perché in Europa è oggettivamente debole, snobbato dai suoi stessi “amici” sovranisti, gente culturalmente e politicamente egoista per definizione (sennò che sovranisti sarebbero?).

Impressiona l’assoluto silenzio del premier Conte – inevitabilmente lo sentiremo a breve – che dovrebbe finalmente togliere il giocattolo dalle mani che ci stanno trascinando nel baratro dell’incertezza nell’eventualità di elezioni anticipate. Impressiona il suo fingere estraneità, come se la vicenda non lo riguardasse, non riguardasse il governo da lui presieduto. Da un punto di vista strettamente costituzionale non ha l’obbligo delle dimissioni ma da quello politico sì, e di corsa. Ipotizzabile, se ciò accadesse – immaginiamo per un attimo una crisi ad horas -, che il Capo dello Stato cerchi di acquisire la prova assoluta del crollo della maggioranza – ricordiamoci che la fiducia è stata appena votata per il decreto sicurezza bis – rinviando il governo alle Camere per una verifica sui numeri. Ma questa è una pagina ancora da scrivere.


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