Tradizionalmente il rapporto delle persone colte – credenti o meno – con il cristianesimo è stato di tipo concettuale, teoretico. Ci si è accostati ad esso, per accettarlo o per respingerlo, come a un complesso dottrinario di verità eterne accidentalmente rivelatesi nella storia del Medio-oriente venti secoli fa: dunque esso sarebbe stato sostanzialmente identico se fosse stato “donato dall’Alto” in un’altra epoca, precedente o successiva, e in un’altra regione della Terra (la Cina o l’America). Questa ottica ha sedotto soprattutto i filosofi di professione (dunque, in piccolo, anche me), tanto più che è stata adottata da giganti del pensiero come san Tommaso d’Aquino (XIII secolo) e da papi di notevole cultura teologica (un po’ meno biblica) come Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.
Ma la rivoluzione degli studi storici nell’Ottocento ha indotto anche gli studiosi di orientamento cristiano a rileggere con più realismo le fonti della fede e ciò è sfociato a metà del Novecento (1962 – 1965) nei documenti del Concilio ecumenico Vaticano II che, pur con tutte le cautele possibili, hanno evidenziato che il cristianesimo non è un sistema di idee (più o meno profonde dal punto di vista metafisico) quanto la storia di un Profeta (Gesù di Nazareth), della sua compagnia di seguaci (apostoli e discepoli, sia uomini che donne) e delle comunità costituitesi come ‘eretiche’ rispetto all’ebraismo nei primi tre secoli dell’era volgare.
Questa nuova prospettiva è stata sconvolgente e tuttora ci sono cardinali, vescovi, preti e teologi che tentano di opporvisi con tutti i mezzi disponibili: la chiesa cattolica, infatti, cessa di essere “madre e maestra” di una umanità immatura e peccatrice, ma compagna di strada di quanti ricercano la conoscenza, la giustizia, la solidarietà, la libertà, la pace, il rispetto della natura, la bellezza artistica e così via.
Papa Francesco – anche grazie a quello che è stato (un pastore in territori sperduti alla “fine del mondo”) e a quello che non è stato (un insegnante universitario dalle cento pubblicazioni accademiche) – è il primo “vescovo di Roma” che ha preso sul serio la storia come terreno di origine del cristianesimo e come banco di prova, soprattutto nel presente, della sua validità agli occhi degli esseri umani di ogni area del pianeta.
Un prezioso e agile libro a cura di Anna Carfora e Antonio Ianniello (Papa Francesco e la storia della Chiesa, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2019, pp. 186, euro 13,00) illustra, con uno stile fruibile anche dai non addetti ai lavori, in che senso – e con quali conseguenze rivoluzionarie – la “ricerca della verità storica”, al di là di “ogni tentazione integralista”, costituisca “una delle cifre più forti di questo pontificato”.
Il libro, promosso dall’Istituto di storia del cristianesimo “Cataldo Naro” della sezione S. Luigi della Pontificia Facoltà teologica dell’Italia Meridionale (Napoli), gestita dai Padri Gesuiti, raccoglie contributi specificamente redatti da alcuni degli storici più prestigiosi del panorama cattolico attuale. Come è facile prevedere alla luce di tante vicende recenti e recentissime, ancora una volta ci saranno nostalgici delle granitiche “certezze” del passato che accuseranno di “relativismo” sia il papa che questi suoi interpreti: ma, di fronte a un fiume che davvero scorra, è più vicino alla “verità assoluta” chi afferma che scorre sempre la stessa acqua o chi afferma che, nonostante le nostre convenzioni linguistiche (“questo è il Nilo”, “quello è il Po”…) , l’acqua che scorre è diversa momento per momento (e dunque non ci possiamo bloccare a un giudizio ‘eterno’ che valga per l’acqua di ieri di oggi e di domani)?
Fuor di metafora, noi usiamo un’unica parola – “Chiesa” – per indicare una realtà fluida, in continua trasformazione: per sfortuna, o secondo i casi per fortuna, la chiesa di san Francesco e di santa Chiara non è la stessa che solo pochi secoli dopo erige i roghi per eretici e streghe né quest’ultima è la stessa dell’impegno dei preti sociali alla don Luigi Sturzo per l’attivazione di cooperative e casse di risparmio a difesa dei contadini sulla scia dell’enciclica “Rerum Novarum” di Leone XIII.
A proposito dei roghi eretici, da condannare assolutamente, come da condannare anche le persecuzioni operate oggi da parte di altri confessioni religiose nei confronti di seguaci di diversi credi.
Ancora c’è del goffo e del sofismo, a mio modesto parere, poiché si guarda il male solo per un credo che adesso va di moda attaccare. D’altronde le caratteristiche distintive per fare parte dell’olimpo di intellettuali di sinistra, immutate dal ’68, sono le seguenti: lottare sempre e comunque contro la chiesa, snobismo intellettuale e kefia.
Al di là di ogni astrazione e sofisma, la chiesa è responsabile del piiu grande crimine della storia: privare l’uomo del diritto di pensare! L’eretico da bruciare sul rogo era solo un uomo che ragionava. Nulla è cambiato, solo che non ci sono più condizioni per poterlo fare e quindi la chiesa cerca strade tortuose. Mi piacerebbe leggere qualche omelia dell’attuale papà quando era arcivescovo di Buenos Aires sotto la dittatura di vifela. Mi sembra che ci fosse molto silenzio
L’autore scrive: “DOCUMENTI del Concilio ecumenico Vaticano II che, pur con tutte le cautele possibili, hanno evidenziato che il cristianesimo non è un sistema di idee (più o meno profonde dal punto di vista metafisico) quanto la storia di un PROFETA (Gesù di Nazareth)…”.
Si può ritenere tutto ciò che si vuole sulla natura di Gesù, ma non mi pare che il Concilio Vaticano II possa avere affermato che non era Dio, della stessa sostanza del Padre, ma un Profeta. Si sarebbe trattato di rivisitare completamente il Credo.
Mi piacerebbe che il prof. Cavadi desse qualche riferimento più puntuale ai documenti conciliari, in modo da capire meglio quale sia la fonte del Suo convincimento.
Il commento di Turing Point ci aiuta a capire quei cattolici che preferiscono una Chiesa immobile e stagnante piuttosto che una Chiesa fluida che si rinnova e si sforza di interpretare i segni dei tempi. Ed è normale: la prima propone verità un po’ incartapecorite ma stabili e rassicuranti, invece quella di Papa Francesco richiamata da Augusto Cavadi è scomoda e responsabilizzante, presuppone un faticoso impegno nella ricerca della verità che, per i cattolici più ortodossi è addirittura una provocazione. Per Turing Point questo impegno operoso di ricerca della verità e di solidarietà sociale sarebbe snobistico, intellettualistico, addirittura contro la Chiesa. A me pare sia, piuttosto, contro la
chiesa-recinto dei cattolici più conservatori e capisco il loro disagio: effettivamente la Chiesa di Francesco insidia le loro comode certezze e pretende di scuoterli dal loro passivo immobilismo.
Per chi crede la verità, dalle origini del cattolicesimo, non può essere che una e una soltanto. Tutto il resto è aria fritta.
– Però, gentile signor Turning Point, a noi “intellettuali di sinistra” (grazie della definizione, la userò sia per i tanti amici che mi negano ora la qualifica di “intellettuale” ora la collocazione a “sinistra”) manca un difetto: di nasconderci dietro l’anonimato quando dobbiamo integrare, con espressioni non proprio cordiali, le nostre argomentazioni logiche.
Gentilissimo Daniele, il Vaticano II non ha affermato che Gesù sia stato SOLO un profeta, ma che si sia presentato come tale (non certo come Dio incarnato). In “In verità ci disse altro. Oltre i fondamentalismi cristiani” (Falzea) ho cercato di illustrare e documentare il mio punto di vista.
GRAZIE DELL’ATTENZIONE.