Lettera a un malato | che appicca il fuoco - Live Sicilia

Lettera a un malato | che appicca il fuoco

Ciò che per te è piacere, per gli altri è dolore. Perché tu sei un piromane, sconfitto dalla vita.

Garofalo all'occhiello
di
5 min di lettura

Carissimo,

scusami se non ti chiamo per nome. Potresti averne uno qualunque, un nome consueto e familiare, un nome da chiamare con disinvoltura; ma non posso farlo, pur volendolo, semplicemente perché non lo conosco. Vorrei, ma non posso. Attenzione, è doverosa un’ulteriore precisazione: quel “carissimo” non è espressione di un moto affettivo, o una cortese manifestazione di stima, per niente. Sei “carissimo” perché è molto caro il conto che ci costringi a pagare, noi che di tutto abbiamo bisogno, meno che di qualcuno che rincari la dose dei nostri debiti.

“Costosissimo” amico, dunque, vogliamo parlare un po’ di te? È strano, ma di te so tante cose. Per cominciare, conosco un gesto che hai compiuto, credo, più volte: hai dato fuoco alla montagna. Un gesto banale. Perché, vedi, c’è del banale in tutto quell’organizzare, accordarsi con altri simili, prendere dei recipienti pieni di carburante, trasportarli, aspettare il momento giusto nella certezza, ahimè, di non essere visti. C’è del banale, terribilmente banale, nell’accendere un fiammifero e gettarlo lì. Hanna Arendt, – una che, ne sono certo, non conosci – parlava di “banalità del male” alludendo alla disinvoltura con cui agivano i nazisti, ferendo a morte l’umanità. Scusami, ma credo che ad animarti ci sia la stessa banalità, non foss’altro che per la ripetitività del tuo gesto negli anni – tanti, troppi anni – e per la noncuranza che dimostri per le sue conseguenze.

C’è un’altra cosa che conosco di te: non ti fidi delle previsioni meteo, forse perché non le capisci. Ma a conti fatti non ti serve: ti fidi dell’esperienza, quando le nuvole tendono ad ammassarsi fra loro e comincia a soffiare lo scirocco, domani ci sarà un caldo infernale, quello che toglie il fiato e fa sballare di testa. Quello è il momento buono per appiccare. Certo conosci le leggi fisiche che comandano la combustione dei materiali lignei. Magari in modo empirico, per averlo già sperimentato tante volte in passato; certe conoscenze possono fare a meno dell’istruzione scolastica. A proposito, credo – ma non ne sono affatto sicuro! – che la tua istruzione si limiti a quella che noi, ingenuamente, ci ostiniamo a definire “dell’obbligo”, anche se sappiamo benissimo che persone come te evitano facilmente e volentieri certi obblighi, senza grossi rimpianti e senza ricadute eccessivamente pesanti. Ecco, ad esempio, quando in tv parlano di “piromani”, magari non ti accorgi che stanno parlando di te; forse quest’ignoranza ti rassicura, non ti provoca ansie eccessive. Che bellezza.

So un’altra cosa di te: hai un certo numero di amici che ti somigliano e con cui ti trovi che è una meraviglia. Pochi o molti non importa; per noi, certamente troppi. Gente fatta come te, che ha fatto i tuoi stessi passi, che ama fare le tue stesse cose. Gente che scherza col fuoco e si diverte, eccome se si diverte! Gente che come te circola a mano libera e, soprattutto, a piede libero. Gente impunita, che ha diritto al voto ma non sa che farsene.

E so un’altra cosa ancora: sei miope. Non vedi molto al di là dello spazio limitato dei tuoi interessi. Che interessi, poi? Molto spesso mi si è risposto con questa parola, quando ho chiesto in giro quali possano essere i motivi della tua piromania. “Interessi”, mi si è risposto. Ma cosa può mai esserci di così straordinariamente interessante, nel lasciare spazi sconfinati di terra nera, riarsa, infeconda, inospitale? E dopo? Quando per molti anni questa stessa terra non restituirà che polvere e sabbia, che ritorno ne avrai? Ti gratifica davvero così tanto questo grande falò? Da miope, non vedi la fine di un’umanità che si sta distruggendo con le sue stesse mani, e questa, sai, è una miopia suicida, che ti fa somigliare ad una grossa parte di umanità malata e ancora ignara.

Di certo non ti accorgi, da miope, di tante altre cose. Non sai che la montagna in estate sembra ancora più bella; è ricoperta solo a metà di un verde brillante, per i pini e i cespugli di origano che l’abitano a chiazze. C’è un profumo inebriante, che si spande fino a valle. Non ti accorgi che l’estate dalle nostre parti è ancora più profumata della primavera, perché il sole intenso sembra favorire la sublimazione di tutto ciò che qui è vivo, disperdendosi in essenze vegetali. La montagna, grande e solenne, è casa nostra, mia e tua; come fai a non vederlo? Per te i pini e le querce sono solo alberi; non respiri le pinete, non ti incanti nei boschi di querce. Per te le ore trascorse in mezzo al verde sono tempo che passa e che si perde, non un aperitivo di paradiso. Per te il silenzio che precede il chiasso festoso degli uccelli, all’alba, quando il sole cerca spazio fra le foglie prima di alzarsi dal bordo della montagna, è uno spettacolo insignificante e noioso; magari preferisci suoni assordanti e sballi senza un domani. Ti ci vedo.

Ma un’ultima cosa so di te, che riguarda anche me: siamo uomini entrambi. Eppure ciò che per te è piacere, per me è dolore; ciò che per te è uno spettacolo luminoso e fiammeggiante, per me è il preludio di una distruzione; ciò che per te è allegria, per me è rabbia. Tanta, tanta, tantissima rabbia. Per questo ti scrivo, perché cerco spiegazioni; ma so che non leggerai mai. Quindi non posso che augurarti di farti sorprendere dalla speranza, prima che sopraggiunga la disperazione. Anche la saggezza che segue la stoltezza fa un bel fuoco. Credimi.

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