Gestione "scellerata" di Gesip| Sequestro da 24 milioni a Palermo - Live Sicilia

Gestione “scellerata” di Gesip| Sequestro da 24 milioni a Palermo

Il provvedimento conservativo riguarda i beni di ex sindaci e liquidatori della società

La decisione del Tribunale
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PALERMO – I beni, mobili e immobili, vanno sequestrati fino a raggiungere la cifra complessiva di 24 milioni e 894 mila euro. A tanto ammonta il buco certificato nei conti di Gesip.

Sono i beni degli ex sindaci e liquidatori, succedutisi negli anni, che devono essere “conservati” nell’attesa che si chiuda la procedura fallimentare della società che si occupava della pulizia delle strade e della manutenzione dei cimiteri di Palermo. Gesip fu creata nel 2001 e vi trovarono lavoro oltre duemila precari. Nel 2013 il ministero dello Sviluppo economico dichiarò lo Stato di insolvenza. Due anni dopo arrivò il fallimento.

La decisione della quinta sezione civile del Tribunale di Palermo (presidente Caterina Ajello, giudice Rachele Monfredi, relatore Emanuela Piazza) è di cinque giorni fa. La curatela del fallimento Gesip aveva proposto reclamo contro l’ordinanza con la quale, nel maggio 2018, era stata respinta la richiesta cautelare di sequestro conservativo. I giudici hanno ribaltato la decisione autorizzando il sequestro nei confronti dei liquidatori Pietro Mattei (fino a concorrere alla cifra di 2 milioni e 798 mila euro), Massimo Primavera (fino ad una cifra di poco inferiore ai 15 milioni di euro), Giovanni La Bianca (per 6 milioni e 630 mila euro), e dei sindaci Guido Barcellona (per l’importo di tre milioni di euro), Nunziata Bucca (18 milioni), Salvatore Cottone (24 milioni), Luigi Passaglia (21 milioni), Claudio Iozzi (6 milioni).

Nel precedente step giudiziario era stata esclusa ogni loro responsabilità perché sia il Comune di Palermo, socio unico di Gesip, che la Corte dei Conti erano a conoscenza del disastro economico della società. Ed ancora, perché era stata la presidenza del Consiglio dei ministri ad autorizzare l’amministrazione comunale a continuare a servirsi delle prestazioni di Gesip.

“Il liquidatore deve concentrare la propria attività nella più efficiente, tempestiva e trasparente liquidazione del patrimonio sociale – si legge nella motivazione del provvedimento che ribalta la decisione – rimanendo neutro rispetto a pressioni che possono derivare dai soci che cerchino, per scopi personali estranei alla società, di imporre la continuità dell’attività di impresa”.

Il patrimonio di Gesip andava liquidato subito per evitare che la situazione dei conti peggiorasse. E invece il il Comune deliberò la prosecuzione dei lavori, che finì per aggravare il dissesto. È vero, il Comune impose a Gesip di andare avanti, ma i sindaci e i liquidatori, dal 2010 al 2014, divennero “meri esecutori” delle scelte dell’amministrazione comunale. Si sarebbero piegati al volere del socio pubblico che “pur consapevole dello stato di dissesto e di crisi finanziaria della società partecipata, e invocando il superiore interesse pubblico, ha continuato scelleratamente ad aggravare le finanze di Gesip”.

La curatela fallimentare aveva avanzato una richiesta cautelare di sequestro anche nei confronti del Comune sia per il mancato controllo, sia per “il periculum in mora in relazione alla nota situazione, deficitaria e di insolvenza del Comune”. Il collegio ritiene che in questa fase il Comune debba essere escluso.

La vicenda civilistica si intreccia con quella penale. C’è infatti un’inchiesta della Procura che ha spedito a inizio estate un avviso di proroga delle indagini a una dozzina di persone. Tra queste ci sono anche colori nei cui confronti è stato autorizzato il sequestro conservativo dei beni. Sono indagati per bancarotta.

 

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