Il mandante dell'omicidio Fragalà| Nuovo pentito deporrà al processo - Live Sicilia

Il mandante dell’omicidio Fragalà| Nuovo pentito deporrà al processo

Dopo le rivelazioni di Francesco Lo Iacono, rinviata la requisitoria.

PALERMO – Il nuovo collaboratore di giustizia, Francesco Paolo Lo Iacono, arrestato a luglio in una indagine sullo spaccio di droga alla Zisa, il 14 novembre prossimo deporrà al processo per l’omicidio dell’avvocato Enzo Fragalà, il penalista aggredito a bastonate a pochi metri dal palazzo di giustizia di Palermo nel 2010 e morto dopo giorni di agonia. Lo ha deciso la corte d’assise di Palermo che per il delitto processa i mafiosi Francesco Arcuri Antonino Siragusa, Francesco Castronovo, Salvatore Ingrassia, Paolo Cocco e Antonino Abbate. A chiedere l’esame del pentito sono stati i pubblici ministeri Francesca Mazzocco e Bruno Brucoli dopo che Lo Iacono ha riferito di conoscere il nome del mandante dell’agguato indicando il boss di Porta Nuova Gregorio Di Giovanni.

Il nome di Di Giovanni, come mandante dell’omicidio, era già stato fatto ai magistrati da un altro collaboratore di giustizia: Francesco Chiarello, ma essendo l’unica accusa nei confronti del capomafia, la Procura non ritenne di aver indizi sufficienti per procedere a suo carico. Dopo una prima archiviazione, l’inchiesta sulla morte del penalista è riuscita a individuare gli esecutori materiali del barbaro assassinio. Oggi al processo a loro carico sarebbe dovuta iniziare la requisitoria. Tutto rinviato.

Il neo collaboratore ha raccontato che quando “lavoravo da Bobbuccio, parliamo del 2010, un sera mi chiama Bobbuccio, cioè Salvo Battaglia, e mi dice di portare dei caffè in via San Gregorio 3, una traversa dentro il mercato del Capo”.

“Bobbuccio” è un noto bar che si trova all’inizio di via Volturno: “Mi apriva Salvo e sentivo parlare di dare una lezione al loro avvocato. Ho visto Gregorio Di Giovanni insieme ad Ingrassia (sulla presenza di Ingrassia successivamente Lo Iacono non avrà analoghe certezze, ndr), che lo diceva Di Giovanni e c’erano altre persone”.

Secondo l’accusa, tra i mafiosi, liberi e detenuti, covava il malcontento per l’avvocato sbirro. Sbirro perché i clienti di Fragalà facevano ammissioni nei processi e rendevano interrogatori che mettevano nei guai i boss. Sbirro perché il penalista non aveva esitato, per difendere al meglio un suo assistito, a rendere pubblica la corrispondenza della moglie di un padrino della vecchia mafia. E così il clan mafioso di Porta Nuova avrebbe deciso organizzare una punizione a colpi di bastone, che diventò un massacro sotto lo studio legale di via Nicolò Turrisi.

 

 


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