I pentiti fuori tempo massimo| Le montagne russe della giustizia - Live Sicilia

I pentiti fuori tempo massimo| Le montagne russe della giustizia

L'ultimo della lista è Pietro Riggio con le sue novità sulla strage di Capaci

PALERMO – Meritano una definizione ad hoc. Sono i pentiti “fuori tempo massimo”. Mafiosi che collaborano con la giustizia da anni, ma hanno sempre nuove cose da raccontare. Vicende sostanziali, mica dettagli, che aprono scenari inediti.

L’ultimo della lista è Pietro Riggio, pentito dal 2009. Circa un anno fa ha riferito ai pubblici ministeri di Caltanissetta, che indagano sulle stragi di mafia del ’92, di un misterioso poliziotto che piazzò l’esplosivo a Capaci per fare saltare in aria Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Antonio Montinaro, Rocco Di Cillo e Vito Schifani.

Riggio ci ha messo dieci anni per raccontarlo. Non lo ha fatto prima perché aveva paura per sé stesso e per la sua famiglia. Ora, così ha detto, i tempi sono maturi.

La storia si ripete. Era già accaduto ad esempio, con Giovanni Brusca, il boss dei “centocinquanta omicidi”, fra cui quello del piccolo Giuseppe Di Matteo, strangolato e sciolto nell’acido per tappare la bocca al padre Santino, pentito pure lui. Dopo anni dalll’inizio della sua collaborazione il boss di San Giuseppe Jato disse Vito Ciancimino e Marcello Dell’Utri avevano partecipato alla trattativa tra lo Stato e la mafia. Brusca non voleva rogne per questo non li disse subito.

Il messinese Carmelo D’Amico riferì di avere saputo che “Andreotti, con altri politici, e i servizi segreti sono i mandanti delle stragi del ’92, di Capaci e di via D’Amelio”. La confidenza gli fu fatta in carcere da Nino Rotolo, padrino del mandamento palermitano di Pagliarelli ed ergastolano. Cinque anni dopo quell’incontro carcerario a D’Amicò tornò la memoria, inibita dalla paura che i servizi segreti lo ammazzassero in cella.

Il calabrese Nino Lo Giudice, soprannominato il nano, anni dopo avere sbattuto la porta in faccia a Cosa Nostra spiegò che a fare saltare in aria il giudice Paolo Borsellino, in via D’Amelio, sarebbe stato il poliziotto Giovanni Aiello, soprannominato ‘faccia da mostro’ per una profonda cicatrice al volto.

Il palermitano Michelangelo La Barbera disse che dietro l’uccisione di Falcone “non c’è solo la mafia”, ma “un uomo dei servizi segreti”. Peccato che fu lui stesso, testimoniando al processo sulla strage del Rapido 904, a spiegare che per “ogni strage e ogni delitto eccellente, nell’ambiente di Cosa nostra si diceva sempre che erano stati i servizi segreti per deviare, ma sono solo dicerie”.

I pentiti “fuori tempo massimo” conducono per mano i magistrati sulle montagne russe della giustizia. Alcune indagini si arricchiscono, altre vengono riaperte e la verità si allontana. Le dichiarazioni di Riggio rimettono in discussione anni di indagini e di dichiarazioni di altri collaboratori di giustizia, che hanno portato i magistrati alla conclusione che, almeno nella fase esecutiva, a piazzare il tritolo erano stati soli i mafiosi.

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