La lite per il video su Facebook| Condannato a 18 anni per omicidio - Live Sicilia

La lite per il video su Facebook| Condannato a 18 anni per omicidio

Via decollati, il luogo dell'omicidio

Una storia di morte e degrado. L'imputato uccise il nipote

PALERMO – Una storia di morte e disagio sociale si conclude, in primo grado, con la condanna a 18 anni di Alfonso Vela. Era imputato per l’omicidio di Dino Salvato, avvenuto il 21 maggio del 2018.

Il giudice per l’udienza preliminare Maria Cristina Sala ha stabilito che l’imputato dovrà anche pagare una provvisionale di 90 mila euro alla parti civili – la moglie e i figli della vittima – rappresentati dagli avvocati Alberto Raffadale, Rodolfo Calandra e Pierfrancesco Cascio.

Sarebbe stato un post su Facebook a scatenare la follia omicidi di Vela che sparò e uccise il nipote a colpi di pistola. Vela confessò il delitto agli agenti della Squadra mobile. Disse che era stata legittima difesa. Fu costretto a sparare, altrimenti sarebbe stato il nipote ad ucciderlo.

Una versione che, secondo il pubblico ministero Chiara Capoluongo e le parti civili non reggeva. Sotto accusa, ma solo per favoreggiamento, c’era anche Emanuele Marino, genero di Vela, condannato a due anni e otto mesi. Sarebbe stato lui a nascondere la pistola del delitto ritrovata a Ficarazzi su indicazioni dell’imputato reo confesso.

Zio e nipote raccoglievano il ferro vecchio abbandonato per le strade o gettato nei cassonetti della spazzatura. La mattina del delitto Salvato postò sulla sua pagina Facebook il link con un articolo che ricostruiva il sequestro del mezzo usato da Vela per trasportare i rottami.

Forse aveva pensato che il nipote avesse fatto la spia, oppure si era sentito preso in giro. E così Vela andò ad affrontarlo. Volarono parole grosse e insulti. Il peggio sarebbe avvenuto poche ore dopo, quando Vela e Salvato si incontrarono in fondo Picone, nei pressi di via Decollati, a pochi passi dalla missione “Speranza e carità”.

I colpi di pistola non lasciarono scampo a Salvato. Lo raggiunsero all’avambraccio, allo sterno (il colpo mortale) e al braccio quando ormai il corpo era riverso per terra. Un testimone oculare raccontò che Vela iniziò a sparare all’impazzata  quando vide Salvato, che tentò di ripararsi dietro una macchina. Dunque non era vero che la vittima si fosse presentata armata e che l’assassino gli strappò la pistola per difendersi.

 

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