Sì, servirebbe una Dc | Ma quello era un vero partito - Live Sicilia

Sì, servirebbe una Dc | Ma quello era un vero partito

Oggi, invece, abbiamo partiti che partiti non sono, o perché movimenti con strutture leggere o perché quasi “privati”.

Semaforo Russo
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Questa volta Totò Cuffaro ha ragione (“Il renzismo secondo Cuffaro e il sogno di una nuova DC” di Salvo Toscano). Per alcuni o per molti, infatti, all’Italia serve un partito come la Dc o, meglio, serve un soggetto politico che al di là di nostalgie anti-storiche, legate alla contrapposizione ideologica pre-caduta del Muro di Berlino, dia la possibilità a un corposo elettorato poco incline agli estremismi di destra e di sinistra e assai lontano da logiche sovraniste di esprimersi finalmente attraverso un partito di prima scelta e non di secondo taglio tra i disponibili sul mercato. Nello specifico ha ragione Cuffaro quando sostiene che dentro la cabina elettorale l’elettore moderato apporrebbe probabilmente la croce sul simbolo di Italia Viva. Sì, perché sembrerebbe che sia proprio Matteo Renzi con la sua creatura prodotta dalla scissione nel PD l’immaginabile sbocco di una vasta area, per ora vagante, di conio ex democristiano, capace di acchiappare simpatie nell’elettorato ex-PD, di Forza Italia, nell’universo frastagliato di partitini e movimenti centristi e autonomisti (qui mi riferisco alla Sicilia in particolare) che nascono e muoiono senza riuscire a trovare un contenitore solido e duraturo. In fondo, nell’attuale caos italiota costellato di scissioni, divisioni intestine – vedi il M5S – scontri continui al governo – prima con i giallo-verdi e adesso con i giallo-rossi – e l’inedito (positivo) fenomeno delle “Sardine” sorto in opposizione all’opposizione definita dell’odio, capitanata da Matteo Salvini, una certa sete di chiarezza e di stabilità si sta facendo strada. Un caos che probabilmente non determinerà nell’immediato una crisi dalle parti di Palazzo Chigi – nessuno se la sente di assumersi la responsabilità di disarcionare il premier Giuseppe Conte nonostante le forti fibrillazioni tra i pentastellati parzialmente attenuate dai ripetuti interventi di Beppe Grillo – ma che influisce nelle dinamiche di riposizionamento di intere classi dirigenti e di fette consistenti di elettorato. C’è, però, un però. La DC, con i suoi molteplici meriti e innumerevoli demeriti, era un partito vero e con un gruppo dirigente organizzato sì in correnti ma di elevata qualità. Oggi, invece, abbiamo partiti che partiti non sono, o perché movimenti con strutture leggere o perché quasi “privati”, cioè ruotanti attorno a un leader che normalmente detiene giuridicamente la proprietà del nome, del logo e la gestione delle risorse finanziarie. Addirittura, talmente personali che i rispettivi simboli spesso ne riportano il cognome. Non solo, ma complessivamente i gruppi dirigenti attuali appaiono piuttosto mediocri, salvo riconosciute personalità, intenti alla soddisfazione delle ambizioni dei singoli, alla rincorsa del consenso fritto e mangiato, magari pompato da fake news, affannati in un’eterna campagna elettorale che sacrifica visione, cultura di governo e rispetto per le istituzioni democratiche. Quali e di chi le colpe? Diciamo che è colpa di una assurda semplificazione della realtà, della ricerca di scorciatoie, di una politica anaffettiva, con scarso cervello e abbondanza di viscere inchinata dinanzi al potere da conquistare con qualunque mezzo, anche a discapito dei diritti umani, e al dio denaro per foraggiare apparati senz’anima o con un’anima oscura. Soltanto il PD, al di là dei contenuti piuttosto nebulosi, risulta essere un partito “tradizionale”, non personalistico, potenzialmente idoneo a rappresentare in modo traversale e non estemporaneo pezzi della società civile (pur dopo sostanziose sconfitte nei sondaggi non scende al di sotto di una certa percentuale) ma ancora alla ricerca dell’arca perduta – persa tanto tempo fa, “espulso” Romano Prodi colpevole di reggere su primarie partecipatissime e non su una agguerrita fazione tutta sua – e, soprattutto, privo di una schiera di statisti come la DC poteva vantare. Saprà Italia Viva crescere e svilupparsi con Renzi e a prescindere da Renzi, dalle sue controverse vicende giudiziarie fondate o meno che siano? Saprà dotarsi di un gruppo dirigente all’altezza, a prescindere dal cerchio magico del Giglio, di indiscutibile spessore morale senza racimolare in giro per l’Italia personaggi riciclati? Saprà incarnare un progetto “interclassista” (il famoso partito della nazione), sebbene in chiave europeista e popolare, lasciando al PD una postazione classicamente di sinistra e alla Lega, insieme alla turiferaria Giorgia Meloni, le pericolose velleità sovraniste e di destra estrema? Ecco la scommessa sul tappeto, una scommessa, quella di costruire un’inconfondibile identità, che tanto per intenderci non riguarda unicamente lui e il suo movimento e che intanto interpella urgentemente il M5S.


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