Piero, il pescatore di Lampedusa | "La nostra vita tra morti e relitti" - Live Sicilia

Piero, il pescatore di Lampedusa | “La nostra vita tra morti e relitti”

L'esperienza difficile di chi subisce danni per i relitti affondati. La pesca tragica di cadaveri.

Pescatori si nasce, perché la familiarità col mare impregna di salsedine tutto, anche l’anima al suo insorgere; la terra è appena l’occasione di un momentaneo approdo. Pescatori si diventa, dopo esserci nati, quando tuo padre ti invita per la prima volta sulla sua grande barca. E ti senti finalmente uomo, con un destino tracciato fra alghe e tempeste.

Piero Billeci, pescatore notissimo di Lampedusa, figura di punta nella comunità di chi affronta le onde, fu convocato su un peschereccio che aveva sedici anni, al comando c’era suo padre: era un’investitura che non ha mai dimenticato. Oggi, a cinquantatré anni, la navigazione continua, con i suoi quattro fratelli.

“Abbiamo un peschereccio – racconta Piero – ‘Palermo nostra’. Il lavoro è duro, ma bello. Siamo nati con il mare nel sangue. Si valuta il tempo e si decide se stare fuori quarantotto o ventiquattro ore, di meno non vale la pena: ecco le nostre giornate tipo. Non basta più sapere navigare, devi essere un esperto di pc, di tablet e considerare tante cose, mentre prima ai vecchi era sufficiente guardare il cielo”. Piero che va per mare, come i suoi colleghi, corre un rischio maggiore: può incagliarsi nei relitti disseminati sui fondali. L’acqua intorno a Lampedusa è piena di barchini affondati che sono memoria di sbarchi o di tragedie.

“Ci sono ovunque rottami non segnalati – spiega l’esperto nocchiero – ed è facilissimo passarci di sopra o pescare qualcosa che non dovresti pescare. Allora è sempre un mezzo disastro. Abbiamo perso pezzi, abbiamo subito la rottura delle reti… Una riparazione costa circa quattrocento euro, ma se devi prendere la rete nuova hai bisogno di tremila euro. Oltretutto, la marea sposta continuamente il materiale. C’è stata una mareggiata ed è successo un casino con il gasolio riversato. C’è una macchia nera nel porto di Lampedusa. Abbiamo delegato il nostro sindaco, Totò Martello, che rappresenta i problemi che viviamo. Ma non mi pare che ci sia molta attenzione da parte delle istituzioni”.

Aspro è il mestiere antico della pesca. A Lampedusa ancora di più. La risacca riporta a galla quello che c’è: molto spesso sono corpi che erano persone che affrontarono il naufragio per cercare una speranza di sopravvivenza. Troppe traversate non sono a lieto fine e non prevedono gli occhi guizzanti di una bimba salvata dall’annegamento.

“Io non ho mai trovato cadaveri – dice Piero – però abbiamo soccorso tante volte i migranti in difficoltà, dando l’allarme e sostenendoli con l’acqua da bere e con i viveri, se c’era bisogno. Salvini o non Salvini, non si lascia nessuno in mare. Poi, a terra, si discute. Ma chi è in difficoltà deve essere soccorso, è la nostra legge sacra”.

Piero il pescatore ha una famiglia unita sulla terraferma, una moglie e due figlie, la sua forza. “Cosa vorrei per le mie ragazze? La serenità, come tutti i padri. E che scelgano la vita che vorranno vivere”. Lo chiamiamo mare per questo: perché il suo vento significa libertà, perché le sue storie non hanno confini.


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