Borghesia mafiosa, 190 indagati| “Contributi agricoli sulla base Nato” - Live Sicilia

Borghesia mafiosa, 190 indagati| “Contributi agricoli sulla base Nato”

La conferenza stampa

Le mani delle cosche sui fondi europei. I dettagli sul nuovo sistema portato alla luce dalla Procura di Messina. TUTTI I NOMI

MESSINA – Figurava come azienda agricola, ma, in realtà è una base militare. Non una qualunque, una base Nato, sulla quale è installato il Muos a Niscemi e la mafia è riuscita a lucrarci, inserendolo in un fascicolo aziendale agricolo e percependo, così, un fiume di soldi. È solo uno degli esempi del nuovo sistema portato alla luce dalla Procura di Messina, territorio dove le contrade un tempo impegnate a pianificare le strategie stragiste, oggi hanno cambiato obiettivo e puntano ai soldi europei, con spostamenti estero su estero. Ufficialmente sul Muos pascolavano le pecore dei boss, in realtà c’è una recinzione invalicabile, che la mafia è riuscita ad aggirare grazie alla compiacenza dei gestori di centri di assistenza fiscale, tra i quali figura anche il sindaco di Tortorici, arrestato, Emanuele Galati Sardo.

TUTTI I NOMI DEGLI ARRESTATI

BORGHESIA MAFIOSA – “Professionisti, notai, esponenti di spicco della mafia, una nuova borghesia mafiosa ha consentito ai clan di fare il salto di qualità”, il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho non ha dubbi. L’indagine, con 94 arresti eseguiti da guardia di finanza e carabinieri, ha documentato una fitta rete tra clan finalizzata all’acquisizione di contributi europei. Un fiume di soldi che passava, particella per particella, da un’intesa sistematica tra le varie famiglie, capaci, grazie al ruolo di alcuni centri di assistenza fiscale, di percepire contributi anche dalla finta gestione di aziende agricole, utilizzando timbri dell’agenzia delle entrate falsi, in modo che tutto, durante un semplice controllo, potesse apparire regolare: anche pascolare, per finta, in una base militare.

NUOVE STRATEGIE – Un affare milionario, che nasce, come ricostruisce De Raho, dall’intesa tra famiglie di spessore malavitoso, come i Santapaola di Catania, i tortoriciani e i batanesi di Messina. “I capi di queste organizzazioni mafiose – dice il procuratore nazionale antimafia – con i centri di assistenza agricola, pianificavano l’operatività delle truffe, che venivano attuate attraverso il sostegno dei centri di assistenza, sostanzialmente privati, delegati dall’Agea, ente che si occupa dell’erogazione dei contributi agricoli, formando il fascicolo aziendale, invece pianificavano un sistema criminale fraudolento”.

“Un altro aspetto – continua De Raho – è il ruolo dei collaboratori di giustizia e le intercettazioni, le cosche avevano una particolare attenzione e facevano in continuazione bonifiche ambientali. Le mafie attuali tendono a evitare omicidi e fatti eclatanti, vanno avanti sul terreno dell’economia, cogliendo le opportunità che l’economia legale offre e lì si inseriscono con sistemi illegali”.

CASO ANTOCI – Il procuratore nazionale cita espressamente Giuseppe Antoci, ricordando il suo protocollo sulla certificazione antimafia “e questo è stato probabilmente uno dei primi segnali che è stato dato a tutte le mafie e poi è stato esteso a livello nazionale. Vi è stato, come tutti ricorderete, quel grave attentato che ha toccato Giuseppe Antoci”. Il generale Pasquale Angelosanto dei carabinieri aggiunge che “il protocollo Antoci ha inciso profondamente, contro le mafie dei Nebrodi”. “In soli tre anni – sottolinea Angelosanto – solo i batanesi hanno gestito 2milioni di euro”.

CONTRASTO ECONOMICO – I finanzieri hanno fornito un contributo essenziale alle indagini, sottolinea il procuratore capo di Messina Maurizio De Lucia, “abbiamo documentato un’infinità di micro finanziamenti – dice Riccardo Rapanotti, generale della Guardia di Finanza – che messi a sistema, grazie al coordinamento della Procura, rappresentano l’utilizzo di diversi milioni di euro. I mafiosi – continua Rapanotti – si sentivano al riparo dai procedimenti penali, puntando sul fatto che le singole truffe non fossero perseguibili facilmente”. La Procura di Messina, però, ha unito i fili, ricostruendo la fitta rete, fatta anche da numerosi colletti bianchi, che consentiva alla mafia di lucrare con i fondi comunitari. “Questa attività di carattere illecito – ha aggiunto Rapanotti – dura ormai da diversi anni e finalmente siamo riusciti a mettere le mani su un sistema molto importante e complesso”.

L’INDAGINE – Due famiglie, batanesi e Bontempo Scavo, “che negli anni -dice il generale Pasquale Angelosanto dei carabinieri – hanno avuto un ruolo importante a Mistretta, con rapporti privilegiati con Cosa nostra. Il collaboratore Angelo Siino parla dei tortoriciani come di una famiglia che Nitto Santapaola voleva fare entrare in Cosa nostra. Nel corso di queste attività sono emerse queste modalità di accaparramento, prima dei terreni, poi intestazioni fittizie, grazie all’intesa mafiosa”. Per evitare gli incroci dei dati, sottolinea il generale, “i mafiosi si sono spartiti il territorio con un furto mafioso della terra. I gruppi sono diventati così potenti da conquistare numerose aree, stabilendo rapporti con la mafia della provincia di Enna e di Catania”. Angelosanto è convinto che “non bisogna più parlare di mafia dei pascoli, ma di una mafia imprenditoriale, che consentiva il passaggio di fondi estero su estero, anche in Bulgaria”.

“Anche questa inchiesta – aggiunge De Lucia – conferma che la mafia nella provincia di Messina richieda una risposta istituzionale molto forte, però la giustizia a Messina ha necessità che in questo momento non è possibile soddisfare. I nuovi magistrati vengono assegnati ai vari distretti e a Messina ci sono solo 2 giudici in aggiunta e nessun nnuovo sostituto procuratore, purtroppo ancora una volta registriamo come la realtà messinese tenda a scomparire”.

BUSINESS AGRICOLO – “L’agricoltura è il primo settore produttivo in Italia – spiega Vito Cortellesssa, generale dei carabinieri – lo scorso anno abbiamo recuperato 32milioni di euro. Questa indagine evidenzia, per la quantità di soggetti coinvolti, una gravissima intesa per attingere alla mammella dei fondi pubblici. Se il denaro viene attinto illegalmente, non va a chi dovrebbe andare. Non è una mafia rurale, ma raffinata, che sa dove andare per intercettare i rivoli dell’erogazione del denaro comunitario”, conclude Cortellessa.


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