Dalle stragi agli affari d'oro | Così è cambiata Cosa Nostra - Live Sicilia

Dalle stragi agli affari d’oro | Così è cambiata Cosa Nostra

Viaggio nella borghesia mafiosa dove quel che conta è fare soldi

MESSINA – Bisogna entrare tra i vicoli di Mistretta per ripercorrere la genesi della nuova borghesia criminale, scolpita nelle parole di Federico Cafiero De Raho, procuratore nazionale antimafia, proprio mentre carabinieri e finanzieri stavano rastrellando i Nebrodi, ammanettando 94 tra boss, soldati e colletti bianchi. “Professionisti, notai, esponenti di spicco della mafia – ha detto Cafiero De Raho – una nuova borghesia mafiosa ha consentito ai clan di fare il salto di qualità”.

E c’è un cognome di Mistretta che, anche tra gli atti dell’ordinanza “Nebrodi”, segna il passaggio tra due ere: Rampulla. Un cognome legato alla strage di Capaci, dove persero la vita Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti di scorta: Pietro Rampulla fu l’artificiere che confezionò l’ordigno poi collocato nel tunnel sotto l’autostrada.

Il fratello di Pietro, Sebastiano, detto Zu Vastianu, è stato, a lungo, il collegamento con il mondo della politica e i colletti bianchi, in rapporti cordiali con politici e imprenditori di spicco, ma anche in prima linea nei grandi affari, come quello della gestione della celebre “pietra dorata”, materia prima tipica di Mistretta, una pietra speciale che luccica, con la quale è stata costruita una parte dell’autostrada Messina – Palermo e, nella mente dei soci della Pietra Dorata Srl, doveva essere realizzata anche l’università di Enna, progetto che fallì grazie all’intervento della Direzione investigativa antimafia.

LA TERRA – Il territorio ha rappresentato, da sempre, uno degli elementi essenziali del potere di una famiglia: un territorio da controllare, dal quale ricavare voti e nel quale esercitare il proprio peso per riscuotere le estorsioni nei principali appalti.
La famiglia di Mistretta, dopo l’arresto di Sebastiano Rampulla nel 2004, continua a svolgere la propria funzione di “cerniera” tra la criminalità della provincia di Messina, le organizzazioni palermitane e quelle catanesi, tanto che nell’assetto di Cosa Nostra, i mistrettesi rientrano nel mandamento palermitano di San Mauro Castelverde.

Impongono “la forte presenza sul territorio della famiglia mistrettese – scrive la Procura di Messina – i cui esponenti esercitavano la propria capacità di condizionamento illecito principalmente nel settore dei lavori pubblici, ottenendo che le opere fossero realizzate da imprenditori a sé vicini, ovvero – quando aggiudicate ad altre ditte – imponendo noli e forniture di materiali e calcestruzzo o veri e propri subappalti”.

Sotto il controllo della mafia, attraverso le estorsioni, nel 2007, sono finiti anche i subappalti dei lavori per la posa della fibra ottica nei comuni dei Nebrodi. Lo documenta l’inchiesta Batana, che accerta l’appartenenza dello Zio Bastiano Rampulla a un gruppo di particolare spessore criminale: i Batanesi, competenti nei comuni di Frazzanò, Galati Mamertino, Longi, San Salvatore di Fitalia, Rocca di Caprileone, S. Agata di Militello, Alcara Li Fusi, Acquedolci e Rosmarino.

L’ERA DI MEZZO – C’è un momento di passaggio importante negli assetti mafiosi messinesi, dopo la morte di Rampulla, avvenuta nel 2010, “il ruolo di mediazione – si legge nell’ordinanza “Nebrodi” – tra le organizzazioni mafiose era stato ricoperto da Giuseppe Calandra… soggetto legato a Nicolò Frasconà Cantalanotte”. Cantalanotte è il nuovo colletto bianco che si muove tra i salotti buoni di Messina e Catania, mantenendo contatti con i politici più influenti e gestendo, secondo i magistrati, delicati equilibri. C’è un’altra cellula calda nel messinese: quella di Mazzarrà Sant’Andrea, legata ai barcellonesi. Lì il responsabile è Tindaro Calabrese.

LA PACIFICAZIONE – Dalla gestione, da parte dei messinesi, della Pietra Dorata Srl insieme a colletti bianchi catanesi, ai grandi appalti del Calatino: la competenza territoriale delle famiglie mafiose è stata sempre al centro di momenti di tensione, risolti anche con fatti di sangue, ma agli atti dell’operazione Nebrodi c’è un verbale del pentito Carmelo D’Amico che contiene i particolari della pax mafiosa che ha preceduto l’era della spartizione dei contributi agricoli europei. “C’è stata una pacificazione – dice D’Amico – dov’è intervenuto Tindaro Calabrese, all’epoca si sono incontrati in quelle zone là, ora non mi ricordo dove, Tindaro Calabrese, Turi Catania, Cicciu Muntagna, c’era Affiu Mirabile, u responsabili di Santapaola, e hanno fatto… sono arrivati ad una forma di pacificazione”.

LA NUOVA MAFIA – L’intesa tra i Santapaola di Catania, i tortoriciani e i batanesi di Messina ha dato il via alla gestione dei terreni attraverso prestanome. Soldi facili perché pubblici, ottenuti rischiando, di questo si dicevano convinti, al massimo l’accusa di truffa. Ma la Procura di Messina,, guidata da Maurizio De Lucia, ha unito i fili, decifrato contatti, letto verbali e ascoltato intercettazioni, ed è venuto fuori un sistema quasi perfetto, che ha consentito ai clan di lucrare ben 10 milioni di euro, spostando i soldi anche “estero su estero”.

“Le mafie attuali – ha detto il procuratore nazionale antimafia riferendosi all’evoluzione dei clan dei “Nebrodi – tendono a evitare omicidi e fatti eclatanti, vanno avanti sul terreno dell’economia, cogliendo le opportunità che l’economia legale offre e lì si inseriscono con sistemi illegali”. C’è solo un fatto eclatante che le cosche non avrebbero evitato: l’attentato a Giuseppe Antoci. Difficile dire se questa mafia non spari più, ma di certo ha dimostrato di saper fare affari.


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