Calunnia, il pentito sotto torchio Un ispettore rischia il processo

Calunnia, il pentito sotto torchio |Un ispettore rischia il processo

Giacomo Cosenza è alla sbarra. Udienza infuocata in aula Famà. La replica. 

CATANIA – Una strettoia. Che non permette vie d’uscita. Giacomo Cosenza, collaboratore di giustizia, sotto processo per calunnia ha deciso di rispondere alle domande del pubblico ministero. Il ‘pentito’ nel 2013 ha accusato ingiustamente un poliziotto di aver favorito un clan. E quelle indicazioni, raccolte in modo alquanto singolare dall’ispettore Filippo Faro all’epoca in servizio alla Dia, hanno fatto avviare un’indagine (come atto dovuto) che è stata archiviata e da cui è scattata la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti del collaboratore. Il sostituto procuratore Santo Di Stefano, prima di iniziare l’esame, ha depositato alcuni documenti tra gli atti del processo che si celebra davanti alla giudice Rosa Alba Recupido, della terza sezione del Tribunale di Catania. Oltre ai verbali di interrogatorio a cui l’imputato si è sottoposto in questi lunghi sette anni, dall’indagine al processo, c’è anche la richiesta di rinvio a giudizio avanzata dalla Procura nei confronti dell’ispettore di polizia Filippo Faro per calunnia. Accuse collegate a questa storia giudiziaria.
Prima di andare avanti nella cronaca dell’ultima udienza, svoltasi nell’aula Serafino Famà sabato mattina, occorre tratteggiare i passaggi cruciali di questa vicenda processuale che si è arricchita di un nuovo tassello. Bisogna portare l’orologio al 4 novembre 2013. Il collaboratore di giustizia Giacomo Cosenza quel giorno doveva eseguire insieme al personale della Direzione Investigativa Antimafia di Catania alcuni sopralluoghi per un’inchiesta in corso. Quel pomeriggio Cosenza è negli uffici della Dia e l’ispettore Filippo Faro gli chiede se avesse conoscenza di nomi di poliziotti corrotti. I suoi superiori e i suoi colleghi sentiti a processo parleranno di “iniziativa autonoma e non regolare dell’ispettore”. Lo stesso Faro l’ha definita: “Poco ortodossa”. Da qui la ricostruzione è lacunosa e contraddittoria. “Faro chiede con insistenza – racconta Cosenza rispondendo alle domande del pm – ma io ho risposto che non mi interessavano questo tipo di cose”. Alla fine non si sarebbe arrivati ad alcuna indicazione precisa. La sera stessa è accompagnato all’albergo Novecento che sorge a due passi dai locali della Squadra Mobile di Catania. L’indomani mattina il collaboratore consegna un bigliettino con su scritto “Isp. Tony Lancia Musa argento”. Un appunto che Cosenza avrebbe preso prima di andare a dormire. E da come risulta dalle indagini, quella sera l’imputato ha telefonato al cognato Francesco Privitera che gli fornisce alcuni particolari che Cosenza si è appuntato nel foglietto di carta. Ma perché prendere quegli appunti? Aveva paura di dimenticarli? Se erano informazioni che appartenevano alla sua memoria perché ha necessità di prendere carta e penna? È stato suo cognato a dirgli il nome? “No, il nome Tony no”, risponde l’imputato dopo aver glissato tutta una serie di quesiti.
Il 5 novembre 2013 avviene il primo interrogatorio del collaboratore di giustizia davanti a un magistrato. Nonostante le domande precise sul soprannome del poliziotto che nel 2001 – secondo il pentito – avrebbe ricevuto dei soldi da Orazio Privitera, boss di vertice dei Carateddi, le uniche risposte che vengono messe a verbale sono “Tony u sbirru, Tony u vaddia”. Quel giorno a Cosenza non sarà mostrato alcun album fotografico, eppure da una relazione di servizio, firmata tra gli altri dall’ispettore Filippo Faro, si traccerà l’identikit con nome e cognome del presunto poliziotto corrotto frutto di uno scambio di sguardi tra Cosenza e l’ufficiale della Dia. Uno scambio di sguardi (negato più volte da Cosenza, ndr) che sarebbe avvenuto mentre l’ispettore Gaetano Buffo la mattina del 5 novembre 2013 scendeva dalla sua vespa ed entrava negli uffici di via Ventimiglia, dove lavora da 27 anni diventando “uno dei poliziotti più apprezzati e capaci a Catania”, ha evidenziato nel corso del processo il già dirigente della Squadra Mobile e oggi Questore di Caltanissetta, Giovanni Signer. L’ispettore Buffo è comunemente chiamato con il diminuitivo Tony. Ma da decenni ormai, gli esponenti della criminalità organizzata lo conoscono come “Testa nica”. E vari pentiti lo definiscono un poliziotto “temuto per la sua sagacia ma allo stesso tempo rispettato per la sua correttezza”. La Procura di Catania apre un fascicolo, un atto dovuto vista la gravità delle accuse mosse dal collaboratore, ma cerca di chiudere il cerchio in poco tempo. E così il 18 dicembre 2013 è organizzato un interrogatorio parallelo tra l’ispettore falsamente accusato e il collaboratore. In una stanza c’è l’imputato e in un’altra l’ispettore Buffo, che si è costituito parte civile nel processo con l’avvocato Michele Ragonese. Ed è solo in quel momento, davanti ai massimi vertici degli uffici inquirenti di Catania dell’epoca, che Giacomo Cosenza pronuncia il soprannome “testa nica”. Il pentito è stato messo alle strette: perché ha deciso di parlare solo ora? Anche perché – per dovere di cronaca – già Cosenza in passato era stato nel programma di protezione e poi se ne era uscito. Il collaboratore spiega che dal 2001 fino a quella mattina del 5 novembre 2013 non avrebbe visto l’ispettore. Ma dall’interrogatorio di Buffo invece viene fuori la notizia che nell’ottobre del 2010 è stato effettuato un sopralluogo nelle campagne di Augusta per cercare delle armi che sarebbero state nascoste in quei terreni. L’ispettore Buffo faceva parte del gruppo di poliziotti che ha accompagnato Cosenza in quei sopralluoghi dove non è stato trovato alcunché. “La prova è anche data da una foto scattata da un mio collega con il cellulare”, ha spiegato nel corso di un lungo esame – durato due udienze – lo stesso ispettore Buffo al Tribunale. Cosenza, il 18 dicembre 2013, si è difeso parlando di una presunta minaccia che gli sarebbe stata rivolta all’orecchio nell’ufficio matricola del carcere dove è stato prelevato. Peccato che l’Ispettore Buffo non era tra i poliziotti che sono andati all’interno del carcere.
L’imputato nel corso dell’esame dell’ultima udienza, collegato in video conferenza, ribadisce al pm “che hanno coinvolto una persona che non c’entrava niente. Io non ho mai fatto il nome di Buffo. Io mi riferisco a un’altra persona”. Un poliziotto, con i capelli corti e il pizzetto, che avrebbe incontrato la mattina del 5 novembre 2013 al bar mentre prendeva il caffè. “Ci sono gli uomini della mia scorta che potrebbero confermarlo”, argomenta. Davanti a queste affermazioni il sostituto procuratore Santo Di Stefano è tranciante: Ma allora quando è stato sentito dal procuratore nel 2013 perché non lo ha interrotto? Perché non spiegava che stavano sbagliando persona? Ci spiega perché non ha detto queste cose prima ma solo dopo il rinvio a giudizio? Cosenza si difende: “Il mio avvocato mi ha detto di non parlare all’udienza preliminare. Che era meglio così”. E l’imputato tira fuori ancora l’avvocato quando il penalista Michele Ragonese, legale della parte civile, gli chiede – citando alcune conversazioni con la moglie intercettate la mattina del 18 dicembre 2013 – come avesse saputo i nomi dei magistrati che lo avrebbero interrogato quel giorno. “Forse l’avvocato…”. Ma c’è un’altra intercettazione che smentisce questa versione, perché parlando con la sua penalista, diversa da quella che ha assunto la difesa in questo processo, è lui che la informa del fatto che sarebbe stato il procuratore in persona a interrogarlo. Qualcuno quindi avrebbe informato l’imputato. Più volte a Cosenza viene posta la domanda. Poi, nel corso dell’interrogatorio del suo difensore, l’avvocato Stefania Steri, prende la parola la giudice Rosa Alba Recupido. E a quel punto il collaboratore-imputato capitola: “È stato Faro”. Il difensore dell’ispettore Filippo Faro, l’avvocato Mario Brancato, contattato da LiveSicilia replica con forza: “Il mio assistito è innocente. La sua innocenza è documentata negli atti giudiziari. Il collaboratore di giustizia Giacomo Cosenza sta mentendo”. Nelle scorse settimane si è svolta l’udienza preliminare a carico dell’ispettore che non è più in servizio alla Dia, ma il gip ha rinviato per la decisione.

Partecipa al dibattito: commenta questo articolo

Segui LiveSicilia sui social


Ricevi le nostre ultime notizie da Google News: clicca su SEGUICI, poi nella nuova schermata clicca sul pulsante con la stella!
SEGUICI