I figli in provetta e il prete| Graviano, il mistero continua - Live Sicilia

I figli in provetta e il prete| Graviano, il mistero continua

Giuseppe Graviano

La Procura generale ha svolto degli accertamenti. Ecco cosa dice un agente di polizia penitenziaria

PALERMO – Chissà se glielo chiederanno nelle prossime udienze. Chissà se il loquacissimo Giuseppe Graviano spiegherà come sia riuscito a concepire un figlio mentre era detenuto al 41 bis.

Ha goduto della complicità di un avvocato o magari di un prete a cui avrebbe consegnato la provetta con il suo seme per portarla all’esterno del carcere? Anche sul possibile ruolo di un sacerdote si concentrano le indagini delegate dalla Procura generale di Palermo alla Direzione investigativa antimafia.

L’ergastolano di Brancaccio, intercettato in carcere nel 2016, spiegava al compagno di socialità Umberto Adinolfi che “io tremavo, lei era nascosta ni robi (tra la biancheria, ndr)… dormivamo nella cella assieme, cose da pazzi. Tremavo, tremavo”. Graviano si vantava di avere beffato il regime del 41 bis in maniera eclatante. Gli era stato concesso di dormire in carcere con la moglie Bibbiana: “Vedi che fare il figlio nel carcere, questo per me è stato un miracolo”.

Un doppio miracolo, visto che c’è riuscito anche il fratello Filippo, pure lui mentre era detenuto all’Ucciardone al carcere duro. Le mogli partorirono l’una a distanza di un mese dall’altra. A conti fatti le donne sono rimaste incinte fra il settembre e il novembre del 1996.

I sostituti procuratori generali Giuseppe Fici e Sergio Barbiera, che rappresentano l’accusa nel processo d’appello sulla presunta trattativa Stato-mafia, hanno avviato una lunga serie di accertamenti.

Hanno identificato una dozzina di agenti di polizia penitenziaria in servizio in quegli anni nel carcere palermitano, la cui fama di essere stato un “grand hotel” è ormai nota. La convinzione generale è che i due boss stragisti avessero congelato il seme prima di finire in carcere. Di sicuro nessuno prima d’ora è mai andato a porre le domande agli agenti nonostante la vicenda fosse piuttosto eclatante. I magistrati hanno fatto ricostruire il percorso degli addetti al ritiro della biancheria sporca, le regole carcerarie, le modalità dei colloqui.

Per ultimo il 9 gennaio scorso è stato sentito Vincenzo Santoriello, andato in pensione lo scorso 31 marzo. Era lui il responsabile della sicurezza nella sezione, la nona, in cui era detenuti i fratelli Graviano.

Ha raccontato che i due boss “erano rinchiusi in celle singole, non restavano nella stessa cella, andavano a passeggi sa doli, colloqui singoli con il citofono e attraverso un vetro blindato… li prendevamo con un blindato e li portavamo nella sala colloqui”. Erano pure previste perquisizioni corporali per i detenuti.

I magistrati gli hanno chiesto se i Graviano partecipassero alla messa domenicale. Risposta affermativa: “… dall’interno della loro cella, cioè veniva il prete, portava l’altare itinerante, lo metteva in sezione e diceva la messa e loro non uscivano dalla cella… cancello chiuso e blindato aperto per ascoltare la Santa Messa”.

A volte però “il prete… faceva il giro giusto quei cinque minuti e comunque era sempre sorvegliato il prete… era seguito”. Interloquiva con i singoli detenuti? “Ogni tanto sì, ma era seguito non è che potesse fermarsi a parlare più di tanto per la confessione o meno”. Del prete Santoriello non ricorda il nome, ma non sarà difficile per gli investigatori identificarlo. I magistrati hanno un sospetto. Lo si intuisce dalle loro considerazioni: “… a passare una fialetta ci vuole un secondo, mentre uno fa la benedizione. Questa è una ipotesi”.

Una ipotesi suffragata dalla corrispondenza dei fratelli Graviano che nelle lettere ai familiari si manifestavano particolarmente interessati: “È venuto il prete”; “Domenica il prete è venuto”; “Verrà il prete”.

Non c’erano telecamere in sezione, ma solo nella zona del passeggio, il prete non veniva perquisito. Santoriello ha comunque escluso che sia potuta accadere una cosa del genere all’Ucciardone dove i controlli erano rigidi. E quando, durante i colloqui, cominciarono a notare che la pancia delle mogli dei boss cresceva di volume? In carcere si faceva la battuta “è stato Spirito Santo”. Una battuta che muoveva dalla convinzione che nulla di illecito potesse essere accaduto all’Ucciardone. Dell’argomento forse Santoriello ebbe modo di parlarne, ma sporadicamente, con la direttrice del carcere, oggi deceduta. Mai nessuna comunicazione ufficiale con il Dap.

I Graviano avevano fatto domanda per l’inseminazione artificiale, ma gli era stata respinta. Circostanza che farebbe venire meno l’ipotesi che avessero conservato il seme prima dell’arresto. Che senso ha chiedere il permesso per fare qualcosa che si è già fatto? Santoriello ha una sua spiegazione che affonda nella mentalità dei mafiosi: “Credo che volessero regolarizzare il tutto… fare una richiesta in modo che nessuno potesse pensare che fossero stati altri”.

Nell’attesa che si risalga al’identità del prete, l’unico che può chiarire come siano andate veramente le cose è lo stesso Graviano divenuto improvvisamente loquace. Chissà se vorrà chiarire un episodio così delicato al processo calabrese sulla ‘ndrangheta stragista, dove ha reso ore e ore di racconti senza mai confessare neppure uno dei delitti da lui commessi. A cominciare dalle stragi per le quali sta definitivamente scontando l’ergastolo. Lui, dice il boss, non le ha commesse.


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