Dopo la morte? C'è il deposito | Le 300 bare di Palermo - Live Sicilia

Dopo la morte? C’è il deposito | Le 300 bare di Palermo

Lo spurgo, anni d’attesa, il forno crematorio guasto, tombe in condominio. Un cimitero che va a Rotoli

300 non è un film, ma una brutta storia palermitana. Ce la raccontano i defunti, silenti rapsodi che inscenano la morte dopo la morte, davanti a spettatori che fanno la fila e rimangono in piedi pur di vederli.

Forse vanno nell’aldilà o forse non vanno da nessuna parte, di certo vanno in malora, abbandonati in un maledetto deposito, macabro viavai di lacrime e rassegnazione.

Trecento è il numero di bare che giacciono in quel deposito d’un cimitero che va a Rotoli.

E lasciamo perdere Orlando! Mica può essere sempre e solo colpa sua. Se l’orlandismo è ormai la catena lunga vent’anni a cui probabilmente ci ha costretti la mancanza di valide alternative, l’antiorlandismo è una moda che rischia di condannarci ai prossimi cinque anni di molto fumo, poco arrosto e tanti altri morti destinati a vagabondare in un’Ade senza fine, dalle anonime pareti ariose e torrette di tabuti con una foto ed una dedica.

Sì perché, a fronte di quei poveri cristiani ammassati a casaccio come fossero ciarpame, tra l’indifferenza figlia dell’assuefazione e qualche sporadica lamentela, non c’è uno straccio di proposta concreta, per dire basta a questa vergogna. Di tanto in tanto spunta, come bocciolo dal letame, la notizia di qualche intervento palliativo, certo non manca il letame del malaffare e poi nulla più. Poi si ritorna alla vita di sempre e alla morte di sempre: eterna e senza speranza. Perché, che ci crediate oppure no, a Palermo non c’è la vita dopo la morte, c’è il deposito. E poi lo spurgo, gli anni d’attesa, il forno crematorio che non funziona, le tombe in condominio, i posti “ammuru” e i sepolcri che guardano dall’alto verso il basso ricordandoci che nemmeno lì siamo tutti uguali; che anche lì, come tra le vie di vita quotidiana, questa è una città dove pochi campano e molti muoiono ogni giorno.

Una città che di morte e di morti s’intende, ma di cimiteri no. Nemmeno io me ne intendo, però non ci vuole uno scienziato per capire ciò che serve. Non servono commissari, comandanti, piccoli capitani o grilli parlanti. Serve un altro cimitero.

E poi scopri che a Ciaculli qualcosa si poteva fare, qualcosa si potrebbe fare. Lì potrebbe sorgere un cimitero. Potrebbe. Perché la via era il project financing. Parola brutta, incomprensibile, sembra uno di quei casi in cui ci dicono le cose in un’altra lingua affinché il “popolo cojone” non capisca e non agisca. Eppure, sarebbe la soluzione. Certo, vent’anni di concessione ai privati, che finanziano, sono tanti; certo, i duemila e rotti euro a loculo sono tanti. Ma mai quanto quelle trecento bare e mai quanto gli anni da cui questa città aspetta di avere almeno il diritto di morire in santa pace. E invece no. Qualcuno lo ha bocciato, quel progetto, in nome dell’interesse pubblico, del bene comune e dell’impermeabilità alla mafia (quella non manca mai, quando non ci conviene è così che la si butta in caciara).

Pare comunque che ci sia un ripensamento su Ciaculli. Sembra che questa Giunta punti sui fondi Fas (altra parola incomprensibile) per farci lì un cimitero. Forse qualcosa si muoverà. Speriamo. Solo che i “pare” e i “sembra” e i “forse” sono sempre lì, a cornice di una quadra che poi finisce per non trovarsi mai.

E a noi non resta che sperare. Del resto, la speranza è l’ultima a morire … e chi di speranza vive disperato muore (e finisce in deposito) … e come finisce poi si racconta … e non si finisce mai.

Fine.


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