"Ha accusato falsamente poliziotto" Ispettore a giudizio per calunnia

“Ha accusato falsamente poliziotto” |Ispettore a giudizio per calunnia

Un processo che si incrocia con quello a carico del pentito Giacomo Cosenza. La difesa: "Innocente. Lo dicono gli atti giudiziari".

CATANIA – L’ispettore di polizia Filippo Faro, in servizio alla Dia fino a qualche mese fa, è stato rinviato a giudizio dal gip per i reati di calunnia, falsa testimonianza, abuso d’ufficio e falso ideologico commesso da pubblico ufficiale. Il 7 luglio dovrà affrontare la prima udienza davanti alla terza sezione penale del Tribunale di Catania. Questa vicenda giudiziaria è legata a doppia mandata a quella che vede il collaboratore di giustizia Giacomo Cosenza sotto processo per aver accusato ingiustamente un poliziotto di aver favorito il clan del boss Orazio Privitera. Da quel dibattimento in corso, in particolare dopo l’esame dello stesso Filippo Faro, sono emersi elementi che hanno portato la Procura prima a indagare e poi a chiedere al gip l’azione penale nei confronti dell’ispettore Faro.
Tutto è iniziato nel 2013, quando al pentito Giacomo Cosenza, con una storia di collaborazione molto travagliata, viene chiesto a bruciapelo e senza alcuna disposizione dell’autorità giudiziaria se conoscesse ‘poliziotti corrotti’. Cosenza era negli uffici della Dia, in via Vecchia Ognina, per svolgere dei sopralluoghi relativi a un’inchiesta in corso, quando Filippo Faro ha posto la domanda. Lo stesso ispettore – sentito al processo contro il collaboratore – ha ritenuto quell’iniziativa “poco ortodossa”. Ma è da lì che è partito tutto: Giacomo Cosenza, dopo una notte in albergo a pensare e a parlare al telefono con il cognato (per sua stessa ammissione, ndr), ha consegnato un bigliettino agli uomini della Dia con scritto “Isp. Tony Lancia Musa argento”. Non c’era alcun soprannome in quel pizzino. Ed è fondamentale in questa vicenda, perché il poliziotto che poi è finito indagato ha un nomignolo che la malavita e la polizia di Catania conosce da venti anni almeno. Cosenza però quel soprannome non lo conosceva. Non se ne è trovata traccia nel primo interrogatorio con i magistrati, nonostante la domanda sia stata posta piu volte. Eppure, incrociando un’intercettazione di un’altra indagine e un riconoscimento basato su un gioco di sguardi tra Faro e Cosenza sotto gli uffici della Mobile in via Ventimiglia, è stata avviata – come atto dovuto – un’inchiesta per concorso esterno a carico dell’ispettore (oggi sostituto commissario) della Squadra Mobile di Catania Gaetano Buffo. L’indagine è stata chiusa con un’archiviazione. I vertici della Procura di Catania, circa un mese dopo quell’iniziativa dell’ispettore Filippo Faro, hanno organizzato un interrogatorio simultaneo (nello stesso momento in due stanze diverse) tra il poliziotto (falsamente accusato) e Cosenza. In quell’interrogatorio di dicembre 2013 il collaboratore di giustizia ha “ritrovato la memoria” e indicato il soprannome con cui è conosciuto a Catania il sostituto commissario  Buffo. Inoltre il pentito, come è emerso dalle intercettazioni a cui era sottoposto, sapeva anche i nomi dei magistrati che lo avrebbe esaminato quel giorno. Quelle conversazioni sono state utilizzate per una relazione della Dia sulla condotta di Cosenza, che però è stata inserita in un altro fascicolo di diversi anni prima e non in quello a carico dell’ispettore finito ingiustamente sotto inchiesta e da cui era scaturita l’autorizzazione alle intercettazioni. La ‘memoria ritrovata’, la conoscenza di fatti che non avrebbe dovuto sapere e quindi la possibilità che vi fosse stato un “suggeritore” sono state al centro delle domande dell’ultima infuocata udienza in cui è stato esaminato l’imputato Giacomo Cosenza.
Una vicenda processuale complicata i cui pezzi saranno (ri)affrontati passo passo nel processo che si aprirà dunque in estate. Il difensore dell’ispettore Filippo Faro, l’avvocato Mario Brancato, è lapidario: “Il mio assistito è innocente. Emerge chiaramente dagli atti giudiziari la sua totale estraneità, lo dimostreremo nel corso del dibattimento che si concluderà, sono convinto, con una sentenza di assoluzione. Questa vicenda – conclude – dimostra ancora una volta che l’udienza preliminare nel processo penale non serve a nulla”. Non è dello stesso parere l’avvocato di parte civile Michele Ragonese, che assiste il sostituto commissario Gaetano Buffo: “Già nelle richiesta di rinvio a giudizio erano delineati gli elementi di responsabilità dell’imputato accusato di calunnia in concorso al collaboratore di giustizia. Inoltre il suo coinvolgimento – argomenta – è emerso in maniera netta anche nel corso del dibattimento a carico di Cosenza”.

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