"Mala gestio dei beni confiscati" | Amministratore deve pagare - Live Sicilia

“Mala gestio dei beni confiscati” | Amministratore deve pagare

Il commercialista Luigi Turchio condannato a sborsare 445 mila euro, di cui la metà per il disservizio

PALERMO – L’amministratore giudiziario deve sborsare 445 mila euro: metà per il danno patrimoniale e metà per il disservizio.

Accogliendo la richiesta della Procura regionale, la  Corte dei Conti, ha condannato Luigi Turchio, ex amministratore giudiziario dei beni confiscati al costruttore mafioso Pietro Lo Sicco. Il conto avrebbe potuto essere molto più salato, ma una parte del danno è stato dichiarato prescritto. 

L’indagine della procura contabile guidata da Gianluca Albo si è spinta nel terreno della “mala gestio” dei beni confiscati alla mafia. Turchio, infatti, noto commercialista palermitano, era stato incarico di gestire i beni dal Tribunale che condannò Lo Sicco e gli sequestrò il patrimonio milionario. Tra cui società e centinaia di immobili.

Il suo incarico fu confermato dall’Agenzia nazionale per i beni confiscati, a cui fu affidato il patrimonio di Lo Sicco una volta passato definitivamente allo Stato. Per una quindicina di anni la gestione Turchio filò liscia. Nel 2013, però, gli subentrò Alessandro Scimeca. Scimeca, tra le altre cose, era l’amministratore giudiziario del supermercato Sgroi di via Autonomia Siciliana dove Silvana Saguto, ex presidente delle Misure  di prevenzione, aveva accumulato un debito per migliaia di euro. Una parte fu pagato in contanti dallo stesso Scimeca, parte offesa dell’inchiesta, mentre Saguto e il marito, una volta che la notizia fu pubblicata dalla stampa, effettuò due bonifici da diciottomila euro per saldare il conto.

Scimeca nel 2013 iniziò a gestire il patrimonio di Lo Sicco e si accorse di una serie di anomalie. A cominciare dal fatto che l’ultimo bilancio approvato risaliva al 1997 e non c’era traccia degli incassi per l’affitto di 250 immobili. Il costruttore mafioso avrebbe continuato a gestirli come se fosse roba sua in barba alla confisca. Vi abitavano parenti e persone senza un pezzo di carta che giustificasse la loro presenza nelle case. Altri immobili erano occupati da soggetti che avevano già stipulato dei preliminari di compravendita con le società di Lo Sicco. All’arrivo di Turchio nulla sarebbe cambiato, compresi i contratti in nero e la riscossione dei canoni di affitto da parte di terze persone. Il commercialista non è stato in grado di consegnare a Scimeca le chiavi degli immobili di cui non ci sono neppure i verbali di immissione in possesso, segno che, sostengono gli investigatori, tutto è rimato come prima.

Gli affitti non incassati ammontano a 400 mila euro (una parte è andata in prescrizione e non è più recuperabile). “Emblematici al riguardo – sosteneva l’accusa – tra gli altri, l’aver lasciato una Ferrari all’imprenditore o aver consentito che i familiari dello stesso continuassero ad occupare gli immobili oggetto di confisca definitiva o, ancora, di aver atteso sei anni per procedere alla apposizione della formula esecutiva alla sentenza che condannava la figlia del Lo Sicco al pagamento delle indennità di occupazione”.

Ma c’è anche quello che i pm definiscono “danno di disservizio”. Turchio ha provato a difendersi sostenendo che la confisca riguardava le società di Lo Sicco e non gli immobili delle stesse. Una tesi difensiva bollata come paradossale dall’accusa, secondo cui, “l’imperdonabile inerzia di Tuerchio ha provocato un danno allo Stato che doveva incassare i canoni di locazione.

 

Ed è arrivata la condannata della Corte dei Conti presieduto da Guido Carlino. Una parte del danno dovrò essere pagato in favore del ministero dell’Economia e delle finanze e una parte all’Agenzia per i beni confiscati. La sentenza è di primo grado e può essere appellata.

 

 

 


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