Omicidio Fragalà, niente ergastoli| Quattro condanne, due assoluzioni - Live Sicilia

Omicidio Fragalà, niente ergastoli| Quattro condanne, due assoluzioni

L'avvocato Enzo Fragalà

Scagionati Paolo Cocco e Francesco Castronovo. La figlia: "Combatteremo per la verità"

PALERMO – Quattro condanne, due assoluzioni e niente ergastoli per l’omicidio dell’avvocato Enzo Fragalà. Queste le pene: Antonino Abbate 30 anni, Francesco Arcuri 24 anni, Salvatore Ingrassia 22 anni, Antonino Siragusa 14 anni. A Siragusa, difeso dall’avvocato Odette D’Aquila, con l’attenuante prevista per chi aiuta l’autorità giudiziaria a ricostruire i fatti.

Assolti Paolo Cocco e Francesco Castronovo. Il primo era difeso dagli avvocati Rosanna Vella ed Edi Gioè, mentre il secondo da Debora Speciale. Sono stati subito scarcerati dopo la lettura del verdetto. Per tutti la Procura aveva chiesto l’ergastolo.

 

Le avvocatesse Rosanna Vella ed Edi Gioè

Ad una prima lettura sembrerebbe che che la Corte di assise, presieduta da Sergio Gulotta, non ha creduto alla versione di Francesco Chiarello ed ha accolto quella successiva di Siragusa, avvenuta a processo in corso. La Corte ha ritenuto che il reato commesso è stata conseguenza del pestaggio, e non un omicidio volontario. L’articolo applicato è il 116 comma II che introduce una circostanza attenuante, da applicarsi a favore del concorrente che voleva un reato meno grave di quello concretamente realizzato.

Il povero penalista fu barbaramente picchiato sotto il suo studio, pochi passi al palazzo di giustizia. Era il 2010 e Fragalà sarebbe morto dopo alcuni giorni di agonia. lo picchiarono selvaggiamente a colpi di bastone. È al Borgo Vecchio, mandamento mafioso di Porta Nuova, che sarebbe maturato il delitto. Nello stesso ambiente dove i carabinieri del Nucleo investigativo del Comando provinciale hanno indagato sin dal primo momento. Come ha ricostruito la Procura diretta da Francesco Lo Voi sarebbe stata la mafia a volere la morte del penalista.

Doveva essere una punizione. Tra i mafiosi, liberi e detenuti, covava il malcontento per l’avvocato “sbirro”. “Sbirro” perché i clienti di Enzo Fragalà facevano ammissioni nei processi e rendevano interrogatori che mettevano nei guai i boss. “Sbirro” perché non aveva esitato, per difendere al meglio un suo assistito, a rendere pubblica la corrispondenza della moglie di un padrino della vecchia mafia.

Alla fine il clan mafioso di Porta Nuova, così hanno ricostruito i pubblici ministeri Francesca Mazzocco e Bruno Brucoli, avrebbe deciso di entrare in azione. La punizione diventò un massacro. Era inevitabile, vista la ferocia con cui furono inferti i colpi di bastone. Doveva essere una punizione per condotte professionali che sono state ritenute del tutto incompatibili con l’interesse dell’organizzazione mafiosa.

Secondo i carabinieri, l’episodio decisivo avvenne quattro giorni prima del pestaggio. Non può essere stata una banale coincidenza temporale. Fragalà aveva prodotto in udienza una lettera con cui la moglie di Rotolo si scusava con Marchese per i guai giudiziari provocati dal marito. Il capomafia ergastolano si era servito di lui per schermare i suoi beni. La donna se ne dispiaceva. Fragalà lesse alcuni passaggi della lettera in aula.

E così la sua punizione sarebbe divenuta inevitabile. Si mossero gli uomini di Porta Nuova che finirono per fare un favore anche ai rotoliani. C’era un profondo legame fra i due clan. Basti pensare che Arcuri era grande amico di Nicchi, astro nascente della Cosa nostra palermitana. 

“Continueremo a combattere per la verità anche in appello”, è il solo commento di Marzia Fragalà, figlia di Enzo e penalista come il padre.


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