Funzionari, politici e mazzette| Restano tutti ai domiciliari - Live Sicilia

Funzionari, politici e mazzette| Restano tutti ai domiciliari

Fabio Seminerio e Mario Li Castri

Il Riesame respinge i ricorsi. Per alcuni la posizione si appesantisce

COMUNE DI PALERMO
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2 min di lettura

PALERMO – Restano tutti agli arresti domiciliari. Il Tribunale del Riesame rigetta il ricorso di quattro indagati per le mazzette al Comune di Palermo. Non solo, per alcuni la posizione si aggrava.

Resta ai domiciliari il funzionario comunale Mario Li Castri, così come i consiglieri comunali ed ex capigruppo di Pd e Italia Viva, Giovanni Lo Cascio e Sandro Rerrani, e l’imprenditore Giovanni Lupo. Per questi ultimi tre il Riesame, presieduto da Stefania Brambille, ha riqualificato tutti i capi di imputazione da corruzione impropria a propria, che prevede una pena più pesante in caso di condanna.

Il Riesame di fatto ha accolto la ricostruzione del procuratore aggiunto Sergio Demontis e dei sostituti Giovanni Antoci e Andrea Fusco, mentre il Gip aveva optato per la corruzione impropria in fase di emissione del provvedimento cautelare.

Nel blitz di carabinieri e finanzieri del Nucleo di polizia (leggi l’articolo agli arresti) sono state coinvolte sette persone. Non di tutti si conosce l’esito del Riesame. L’inchiesta riguarda un giro di mazzette che sarebbero state pagate per ottenere il via libera a tre lottizzazioni in altrettante aree industriali dismesse: l’ex Keller di via Maltese, alcuni capannoni in via Messina Marine e l’ex fabbrica di agrumi a San Lorenzo. Progetti alla fine bloccati in Consiglio comunale (Leggi l’articolo “Il pentolone dell’edilizia privata”).

La differenza fra la corruzione impropria e propria è sottile,ma sostanziale. Quella impropria (pene fra tre e otto anni) è un reato che si configura ogni qualvolta un pubblico ufficiale percepisce indebitamente, per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, denaro o altra utilità per sé o per un terzo o ne accetta la promessa.

L’ipotesi di corruzione considerata più grave, quella propria (pene da sei a dieci anni), si verifica quando un pubblico ufficiale accetta la dazione o la promessa di denaro o altra utilità per omettere o ritardare il compimento di un atto del suo ufficio, oppure per compiere un atto contrario ai doveri del suo ufficio.


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