L'uomo senza inverno | di Luigi La Rosa - Live Sicilia

L’uomo senza inverno | di Luigi La Rosa

Un’immensa fiaba. Crudele, precisa, immaginifica e struggente.

INCHIOSTRO DI SICILIA
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3 min di lettura

Quando ho avuto il libro di Luigi fra le mani, nel suo corpo robusto e promettente, ho pensato che queste pagine erano già tra noi, durante una lunga passeggiata iniziata nelle prime ore del pomeriggio e finita all’alba.

Non avevamo fatto una sosta. Da un tavolino di un bar del centro di Roma con i nostri appunti di scrittura, fino ad una di quelle sere in cui le parole cominciano ad accogliere ombre e confessioni non di vita reale ma immaginaria, nutrita da desideri senza meta.

Così da Trastevere fino a Piazza Borghese, in un nero barocco e profondissimo, dove una giovane coppia ci chiese una foto. O la chiedemmo noi. Adesso non ricordo.

Ma, quello che certamente so, è che queste pagine, pur se non ancora scritte, erano già custodite in quella nostra interminabile conversazione.

Ci sono voluti ben sette anni di ricerca per formarle in un libro che, adesso, nel toccarlo, mi fa sentire un piacere tattile, tanto da rimandarne la lettura.

E quando, finalmente, vi affondo gli occhi ho la certezza di trovarmi in un’immensa fiaba. Crudele, precisa, immaginifica e struggente.

Sembra non vi sia traccia alcuna della cultura siciliana. Nulla dei luoghi, nulla dei personaggi. Ma soltanto C, un pittore impressionista, ritenuto minore, che s’impone come unico personaggio, anche se attorno a lui tutto è vivido, narrato con un gusto di elegante, sottesa poesia stilistica.

Luigi incontra Gustave al Museo d’Orsay, ammirando un suo quadro ‘I piallatori di parquet’ e si chiede perché un arista borghese e ricchissimo come lui, dia tanta considerazione agli ultimi da ritrarli come unici soggetti del dipinto.

Solo una passione può condurre uno scrittore a rintracciare un’anima con una biografia così intensa che, in apparenza, sembra non avere alcuna relazione con la sua esperienza esistenziale.

Eppure, Luigi fa tutto ciò che è necessario per assecondarla: a Parigi frequenta la Biblioteca di Storia dell’Arte e la Biblioteca Mitterand, visita tutti i luoghi in cui visse il pittore, ricostruisce la genealogia familiare in maniera perfetta.

E da questa puntigliosa ricerca nasce la composizione letteraria, alimentata dal valore della leggerezza di cui scrive Calvino nelle sue Lezioni americane, ossia destrutturando il fatto storico per farlo diventare narrazione, esempio di immaginazione.

Gustave è anche un mecenate. Sostiene pittori della sua generazione come Monet, tanto da oscurare la sua stessa fama e ama profondamente Parigi che, in quegli anni, comincia ad assumere il volto della contemporaneità.

L’artista rompe ogni convenzione borghese, trasferendo la propria sfera erotica nella pittura, sublimandola continuamente in una visione tanto solida quanto ingannevole.

Straordinario appare anche il suo spirito femminista nel sovvertire l’iconografia della donna. Luigi evidenzia come il pittore ritragga donne in piedi che guardano dai balconi, dipingendo invece uomini in pose languide, sottraendo in tal modo la figura femminile al desiderio maschile in qualsivoglia posa di compiacimento.

Caillebotte è un uomo in fuga, come ogni artista. Evade continuamente da se stesso, dubitando della propria vocazione.

Cuce e ricuce nel colore così come Luigi cuce e ricuce nella scrittura, fuggendo dalla sua isola.

La Parigi di Gustave è la stessa città della sua parola, un topos dove la realtà può continuamente trasformarsi in visione.

Luigi La Rosa ci racconta di un uomo senza inverno, alla ricerca di una luce purissima, di un artista che, proprio perché tale, non sa difendersi ‘dal peso di occhi sconosciuti’, di una vita che ‘nessuna cosa, tanto meno l’amore, è in grado di guarire.’

Così come accade agli uomini di Sicilia.


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