Adrano, il 'marchio' del boss |Viaggio nel fortino dei Santangelo - Live Sicilia

Adrano, il ‘marchio’ del boss |Viaggio nel fortino dei Santangelo

La maniglia della dimora del padrino è una S in ferro battuto: l'effige della famiglia mafiosa alleata a Cosa nostra.

ADRANO. Monterosso è un quartiere di Adrano con le case color ruggine. Tra queste vie e strade scontano i domiciliari alcuni esponenti del clan Santangelo-Taccuni. Qui, alcuni mesi fa, era tornato Salvatore Crimi, uno degli uomini di punta della cosca collegata alla famiglia catanese di Cosa nostra. Era stato scarcerato nel corso dell’emergenza Covid: le sue condizioni di salute lo mettevano in pericolo in caso di contagio. Ma nella sua casa, in fondo a una strada senza uscita, il boss aveva fatto entrare ospiti non ‘autorizzati’, che sono stati pizzicati dagli agenti del Commissariato di Adrano. Un invito che ha fatto partire una relazione alla Corte d’Appello di Catania che ha predisposto l’aggravamento della misura. E così, sabato, Salvatore Crimi è finito al carcere di Bicocca accompagnato dai carabinieri. Resta, invece a Monterosso, Antonino Bulla, anche lui tornato ad Adrano per i rischi connessi al coronavirus. A unire i due boss la condanna in primo grado a 20 anni di reclusione nel processo, stralcio abbreviato, Adranos. A passeggiare tra i mattoncini grigi si respira silenzio. Qualche massaia davanti alla porta che chiacchiera con la vicina. Sui balconi appeso uno striscione con l’arcobaleno e il tormentone dell’epoca covid #andràtuttobene. In alcune inferriate sventola la bandiera italiana. Una normalità in quella che sembra una città nella città.

Adrano è piena di contraddizioni. Bellissima e affascinante per i suoi scorci, i suoi monumenti, la sua storia. Il castello Normanno è solo l’inizio del viaggio tra i tesori di questa meravigliosa terra sovrastata dalla maestosa Etna. Questo però è uno dei luoghi dove la mafia ha messo radici difficili da sradicare. Qui Cosa nostra ha fatto guerre sanguinarie: trasformando il paese negli anni 90 in una polveriera pronta a esplodere. E qualche anno fa, le tensioni avevano iniziato ad acuirsi tra i Santangelo e lo storico clan rivale, gli Scalisi. La matrona dei Laudani, la ‘zia’ Concetta Scalisi, nonostante condanne e ordinanze ha vissuto quasi sempre nella sua casa con il portone rosso scuro. Ed è qui che qualche mese fa gli è arrivata la notizia dell’assoluzione nel processo Viceré. Questa è anche la città che è stata tappezzata con i necrologi di Valerio Rosano quando ha deciso di collaborare con la giustizia. Alle telecamere di Stefania Petix, in pochissimi, sono stati pronti a farsi un selfie con la scritta “La mafia è una montagna di merda”. E le indagini parlano di un muro d’omertà difficile da scalfire.

Il regalo del boss

Parlavamo di fibrillazioni tra i due clan. Da qualche tempo è arrivata la tregua. Anche in questa terra la regola della pax mafiosa ha fatto breccia rispetto alle pericolose faide che fanno alzare le antenne degli investigatori. Taccuni e Scalisi hanno siglato un patto, sancito con un regalo che il padrino di Adrano in persona Alfio Santangelo ha fatto al boss Pietro Maccarrone. La consegna del dono, avvenuta vicina la casa del reggente degli Scalisi, è stata seguita in diretta dai poliziotti del Commissariato di Adrano e della Squadra Mobile di Catania. E quelle immagini sono finite nei faldoni del processo Adranos.

Il cancello con la S

Ma in questi equilibri dello scacchiere mafioso adranita c’è la figura del vecchio boss Alfio Santangelo, detenuto, che ha messo il ‘marchio’ sulla supremazia criminale in città. Quella maniglia in ferro battuto a forma di S sul portone della sua dimora è prova dell’ostentazione di potere: i Santangelo-Taccuni comandano. D’Altronde anche nella dimora di campagna quella S è ben visibile nel cancello grigio. Quel podere è finito tra i beni sequestrati dal Tribunale Misure di Prevenzione. All’uomo d’onore di Adrano, racconta un pentito, era stato proposto vista la sua ‘lunga militanza in Cosa nostra’, di diventare alcuni anni fa addirittura il capo operativo della cupola della famiglia catanese dei Santapaola-Ercolano. Ma lui rifiutò dicendo che voleva restare il reggente dei “paesi etnei”. Insomma il capo indiscusso del triangolo della morte: Adrano, Biancavilla e Paternò.

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