I boss, il ministro, le polemiche| "In carcere non serve l'antimafia" - Live Sicilia

I boss, il ministro, le polemiche| “In carcere non serve l’antimafia”

Il professore Giovanni Fiandaca

Secondo Giovanni Fiandaca non c'è alcun allarme scarcerazioni e la politica sa solo urlare

PALERMO – Nessuno scandalo, nessun allarme per le scarcerazioni. Per Giovanni Fiandaca i problemi dell’Italia sono altri e la politica non li affronta. Si preferisce piuttosto urlare e polemizzare. Quello di Fiandaca è un pensiero dalla doppia prospettiva, di professore ordinario di Diritto penale e di garante dei diritti degli attuali seimila detenuti siciliani.

Che ne pensa delle scarcerazioni e delle polemiche che hanno scatenato?
“Che sono tutte polemiche retoriche. La situazione è ben diversa da quella che viene descritta, ci sono solo tre detenuti al 41 bis che sono stati scarcerati. Le questioni vanno affrontate nella loro portata reale. I problemi ci sono, ma così si fa solo confusione. Ed invece si è polemizzato pure con la magistratura di sorveglianza che darebbe più importanza alla tutela della salute dei detenuti a scapito della sicurezza dei cittadini. Il vero problema è strutturale. Non sono stati affrontati adeguatamente né la questione del sovraffollamento carcerario, né il tema del sistema carcerario nel suo complesso. Un sistema che funziona a macchia di leopardo. Alcune carceri hanno gravi deficit. Non c’è sempre la possibilità che un boss malato e anziano abbia una collocazione sanitaria interna al sistema carcerario”.

Quello strutturale non è un problema di immediata risoluzione. Nel frattempo che si fa?
“Di sicuro non si può sottovalutare la tutela della salute dei detenuti perché sono mafiosi. Lo impedisce la Costituzione”.

Ma se alcuni boss tornano liberi non si finisce per non garantire la sicurezza dei cittadini a cui lei stesso faceva prima riferimento?
“Va valutato caso per caso. Il ritorno di un mafioso nel suo territorio di per sé non costituisce un pericolo. Se tornano soggetti anziani e ammalati non è affatto automatico che riprendano un ruolo di comando. Un ottantenne molto ammalato, con scadenza pena vicina (un esempio concreto è quello di Francesco Bonura, boss del rione Uditore di Palermo ndr) non è onnipotente ed emancipato dagli altri limiti di vulnerabilità a cui tutti, anche i non mafiosi, siamo soggetti. Come fa a recuperare la sua pericolosità?

Ci sono però tanti casi di boss che una volta scarcerati, anche se anziani, tornano al potere.
“Per questo dico che va fatta una valutazione in concreto, caso per caso”.

Il ministro della Giustizia ha previsto  nuove norme per bloccare le scarcerazioni. Che ne pensa?
“La nuova norma avrà un effetto simbolico, d’immagine, nel tentativo di rassicurare l’opinione pubblica e salvare il proprio posto di ministro. Non può essere retroattiva, non può rimandare gli scarcerati in carcere, ma si applicherà solo per i casi futuri. La Corte Costituzionale ha stabilito che il divieto di retroattività in materia penale vale anche per le norme che disciplinano l’esecuzione della pena. Già oggi le norme vigenti del diritto penale e penitenziario consentono di rivalutare la situazione di pericolosità del soggetto, l’evolversi delle sue condizioni di salute e dell’emergenza sanitaria nei contesti territoriali e di vita nelle carceri. Si pensa poi ad una valutazione mensile delle singole posizione che ingolferebbe e aggraverebbe il lavoro. Si ricorre ad una nuova norma di scarsa efficacia per risolvere un problema che è dipeso dalle carenze strutturali delle carceri e dalle difficoltà del Dap nell’affrontare l’imprevista emergenza. La norma contribuirà a ridimensionare l’incapacità del ministero e del Dap di affrontare un grave problema, anche se bisogna riconoscere che non era facile affrontare un’emergenza alla luce della situazione disastrosa delle carceri”.

Sta difende il dimissionario capo del Dap Francesco Basentini, o mi sbaglio?
“Ne avevo individuavo i limiti di competenza carceraria, ma l’emergenza è stata imprevista e non rendeva facile il lavoro”.

Tra le situazione che avrebbero fatto emergere i limiti di competenza di Basentini i più critici inseriscono la circolare con cui il Dap chiedeva di conoscere l’età e le condizione dei detenuti. Ed invece avrebbe finito per essere un via libera alla scarcerazioni. È d’accordo?
“Per niente. L’antimafia più critica ha visto nella lettera del Dap un invito rivolto alla magistratura ed invece è stata l’unica cosa giusta in prospettiva di tutela della salute. Le critiche arrivano dall’unilaterale convinzione dell’antimafia che debba prevalere la tutela della sicurezza”.

Ora non c’è più Basentini, ma Dino Petralia
“È una persona di grande equilibrio”.

Equilibrio, forse è proprio questo che è mancato?
“Ed è necessario, il mondo delle carceri è difficile. Se non c’è equilibrio e non si bilanciano tutti i valori e le esigenze in gioco si opera male. Non è razionale porre l’antimafia più rigorosa come criterio generale di gestione delle carceri dove ci sono tante tipologie di detenuti che con la mafia non hanno nulla a che fare. La gestione carceraria non può essere improntata alla sola lotta alla mafia, perché è molto più complessa e serve visione di insieme. Non serve la lotta alla mafia, ma capacità di gestire migliaia di detenuti e migliaia di persone che lavorano nelle carceri”.

Lei parla di equilibrio, necessità di garantire la tutela della salute e la sicurezza dei cittadini, ma sul nostro sistema carcerario continuano a piovere critiche dall’Europa per la disumanità dei trattamenti detentivi. Ancora oggi le decisioni adottate per Riina e Provenzano dividono.
“Non aveva e non ha senso tenere in carcere un mafioso malato. Il modello della lotta alla mafia ha un’efficacia simbolica che risponde all’emotività”. 

Abbiamo il dovere di considerare il dolore di chi ha perso una persona cara ammazzata dai mafiosi
“C’è la mia totale e piena comprensione dal punto di vista umano e non mi permetto di giudicare, ma per gestire il mondo carcerario non serve il modello della lotta alla mafia, serve altro”.

 

La politica in molti casi sembra seguire gli umori della gente, a volte assecondare la piazza?
“C’è un decadimento politico e culturale derivato dal fatto che la crisi economica ha fatto esplodere nelle persone sentimenti di frustrazione, rancore, aggressività, risentimento. Sono tutti sentimenti comprensibili dal punto di vista umano. Le forse politiche populiste strumentalizzano questi sentimenti e li canalizzano nella ricerca dei nemici sociali come i mafiosi, i corrotti, sino a decidere di chiamare una legge ‘spazzacorrotti’, per altro tecnicamente molto modesta. Il diritto penale non è lo strumento più efficace per affrontare e risolvere problemi e i mali sociali come noi penalisti diciamo da tempo. La strumentalizzazione del diritto penale a fini politici è sbagliata. Si illude la gente che i problemi strutturali si risolvono o si riducono con le condanne. La giustizia penale serve per coprire le incapacità della politica di risolvere in problemi. Secondo alcuni, la giustizia penale è un ansiolitico per l’opinione pubblica, la pilloletta sedativa per le frustrazioni delle persone”.

Come dire che la politica si limita ad asseconda l’opinione pubblica
“Una delle cause della crisi della politica e della incapacità di affrontare i problemi deriva dalla soggezione di dare risposte all’opinione pubblica. Se l’opinione pubblica dice di avere paura delle scarcerazioni la politica dovrebbe spiegare che le paure sono sbagliate, fare un’opera di pedagogia collettiva. La politica non deve essere il riflesso dell’opinione pubblica, ma deve cercare di educarla. In questo caso bisogna spiegare alle persone allarmate la necessità di fare un bilanciamento fra sicurezza e salute tale per cui dobbiamo accettare che un certo numero di detenuti debba andare in detenzione domiciliare”.

Un’ultima cosa, posso chiederle cosa ne pensa dello scontro fra il ministro Alfonso Bonafede e il magistrato del Csm Antonino Di Matteo?
“Non è un tema importante, ma solo una perdita di tempo”

 


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