Mafia, soldi e potere: 91 arresti| Azzerato il regno dei Fontana - Live Sicilia

Mafia, soldi e potere: 91 arresti| Azzerato il regno dei Fontana

Dda e Polizia valutaria. Pizzo, droga e corse di cavalli. Sequestrate imprese e attività commerciali

PALERMO – I numeri sono imponenti. Ottantaquattro persone finiscono in carcere. Cinquecento finanzieri bussano in altrettante abitazioni. Non solo a Palermo, ma anche a Milano. È a Milano, infatti, che i fratelli Fontana avevano trasferito residenza e interessi economici. Non è stato facile organizzare un blitz in un momento storico in cui vanno anche rispettate le restrizione sanitarie. L’operazione resterà nella storia giudiziaria del Paese anche per questo aspetto.

Il rione Acquasanta del capoluogo siciliano è rimasto, però, il centro del potere dei Fontana. Potere mafioso, ricostruito in due anni di lavoro dai finanzieri del Nucleo speciale di Polizia valutaria, guidati dal colonnello Saverio Angiulli e coordinati dal procuratore di Palermo Francesco Lo Voi, dall’aggiunto Salvatore De Luca e dai sostituti Amelia Luise e Dario Scaletta. Nell’inchiesta, a cui ha lavorato anche Roberto tartaglia, oggi al Dap e prima alla Commissione antimafia, sono coinvolti degli insospettabili come Daniele Santoianni, ex broker di una società fallita e concorrente del Grande fratello 10 o il commercialista milanese Paolo Remo Attilio Cotini.

In carcere per mafia finiscono i fratelli Gaetano, Giovanni, Angelo (tutti e tre avevano un ruolo direttivo nella famiglia mafiosa che fa parte del mandamento dell’Acquasanta ) e Rita Fontana. Il ruolo direttivo viene contestato anche a a Michele e Giovanni Ferrante. Arrestata pure la madre dei Fontana, Angela Teresi, sempre per mafia: avrebbe gestito la cassa del mandamento. Custodia cautelare in carcere anche per la compagna di Gaetano Fontana, Michela Radogna (non per mafia), per il drappello degli uomini più fidati che agivano agli ordini dei Fontana e per coloro che si occupavano di imporre il pizzo, gestire la raccolta delle scommesse sportive, vendere droga e truccare le corse dei cavalli in giro per l’Italia.

Gli animali sarebbero stati dopati per vincere le gare o i fantini avversari convinti con le minacce a frenare la corsa dei cavalli in maniera che gli uomini dei Fontana andassero all’incasso delle vincite. C’è tutto questo nell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal giudice per le indagini preliminari Piergiorgio Morosini.

Gli spalloni avrebbero trasportato i soldi in contanti da Palermo a Milano dove sarebbero stati investiti in diverse attività commerciali, tra cui la gioielleria “Luxury Hours” sequestrata nei mesi scorsi nel quadrilatero della moda milanese.

Nel blitz di oggi finiscono sotto sequestro beni per circa 15 milioni di euro, fra immobili e attività commerciali (bar, imprese di imballaggi e manutenzioni nautiche, ditte di distribuzione di caffè, centri di scommesse on line, negozi di frutta verdura e una fabbrica di ghiaccio). Sotto sequestro una dozzina di cavalli spediti a gareggiare negli ippodromi di Siracusa, Torino, Villanova D’Albenga (Savona), Milano e Modena.

I fratelli Fontana sono figli di Stefano, reggente della famiglia dell’Acquasanta e oggi deceduto, che ha passato il bastone del comando a Gaetano. Dal 2010, dopo avere finito di scontare una condanna per mafia, era sottoposto alla sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno a Milano. Ed è annunciando la sua prossima scarcerazione che i picciotti del racket iniziarono a minacciare chi non voleva pagare il pizzo.

Nell’inchiesta si torna a parlare dei Cantieri navali di Palermo, da sempre al centro degli interessi del clan. Ora le infiltrazioni sarebbero avvenute in alcune cooperative a cui veniva imposta l’assunzione di personale poi capace di orientarne le scelte generali. Infiltrazioni pure al mercato ortofrutticolo con alcuni grossisti costretti a pagare il pizzo per aiutare i detenuti o vendere la merce ai prezzi imposti dalla mafia.

Il nome di Gaetano Fontana compariva per la prima volta nelle cronache giudiziarie quando non era ancora maggiorenne, accusato dell’omicidio avvenuto nel 1992 di un piccolo spacciatore, Francesco Paolo Gaeta. Ed ecco che il nome di Gaetano Fontana, allora sedicenne, si intrecciava con uno dei grandi misteri italiani: il fallito attentato all’Addaura ai danni del giudice Giovanni Falcone.

Il 21 giugno del 1989 un commando a bordo di un gommone si avvicinò via mare alla villa che ospitava il magistrato insieme alla collega svizzera Carla Del Ponte. Fecero degli errori e furono costretti a battere velocemente in ritirata abbandonando sugli scogli un borsone pieno esplosivo. Si lanciarono in mare, fingendosi sub. La storia si faceva misteriosa: qualcuno avrebbe riconosciuto in Angelo Galatolo, boss dell’Acquasanta, uno dei membri del commando incaricato da Totò Riina di fare saltare in aria Falcone. Quel testimone era Francesco Paolo Gaeta, tossicodipendente e spacciatore della borgata palermitana che stava facendo il bagno poco distante. Per anni la vicenda rimase oscura, fino a quando una decina di anni si pentì un altro dei Fontana, anche lui di nome Angelo, ed è lo zio di Gaetano. Si autoaccusò dell’omicidio di Gaeta e fu condannato all’ergastolo: non fu un banale regolamento di conti nel sottobosco dello spaccio, ma qualcosa di molto più serio. Per quel delitto in primo grado era stato condannato a sette anni anche il nipote di Angelo Fontana, Gaetano, ma in appello fu assolto.

Nome storico quello dei Fontana, che assieme ai Galatolo da sempre regnano in questa fetta di città. Da fondo Pipitone, fra i Cantieri navali e il mercato ortofrutticolo, negli Ottanta si muoveva il gruppo di fuoco del capo dei capi. Da fondo Pipitone partirono i killer del giudice istruttore Rocco Chinnici, del segretario del Pci Pio La Torre, del prefetto Carlo Alberto dalla Chiesa, del commissario Ninni Cassarà.


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