Un catanese nell'America in rivolta |"Guerriglia a New York" VIDEO - Live Sicilia

Un catanese nell’America in rivolta |”Guerriglia a New York” VIDEO

Francesco Vagliasindi studia negli Stati Uniti. Ecco la sua esperienza in diretta.

L'INTERVISTA
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5 min di lettura

NEW YORK. Scene di guerriglia urbana a New York. Farmacie prese d’assalto, auto della polizia a fuoco, carcasse di un furgone bruciato, agenti schierati in assetto antisommossa. Manhattan a ferro e fuoco per le rivolte scatenate dopo la morte di George Floyd durante un controllo di polizia a Minneapolis. La violenza imperversa sulle strade della grande metropoli americana.

Una sequenza di immagini che lasciano amarezza e incredulità. Il reportage-verità realizzato dal 21enne giarrese, Francesco Vagliasindi, sta facendo il giro del web. Il giovane catanese ha deciso di attraversare l’oceano per realizzare i suoi sogni. Studia Business al “The City College of New York”. A LiveSicilia racconta la vita di uno studente in una città trasformata in una zona di guerra. Emozioni e paure. Ma Francesco è convinto che essere testimone sia un grande bagaglio d’esperienza.

La morte di George Floyd a Minneapolis ha messo a ferro e fuoco gli Stati Uniti. New York è una delle città dove gli scontri sono più accesi?

Sì, New York City è una delle aree metropolitane più densamente popolate di tutti gli Stati Uniti. Essendo molto grande la città è divisa in 5 distretti: Brooklyn, Queens, Bronx, Staten Island e Manhattan. I primi tre sono le aree residenziali meno agiate, ma dovete immaginare che coprono un’area urbana grande quasi quanto quella Catanese. Gli scontri più gravi sono avvenuti nel ricco quartiere di Downtown Brooklyn e nella zona sud di Manhattan specialmente Union Square e Soho, dove si trovano i negozi di abbigliamento di lusso.

I newyorkesi come hanno reagito a quanto accaduto. La città è divisa?

New York è divisa in due da molto tempo. Gli Stati Uniti non sono come li immaginiamo in Italia. La divisione razziale e sociale è radicata nel tessuto sociale. Ed è molto peggio di quello che immaginiamo noi italiani. La reazione di molti è quella di restare in casa e filmare dai balconi, ma per strada la sera si formano masse dove importa solo se sei con loro o contro di loro. Mi è capitato di incontrare più di un amico appartenente alla “Manhattan Bene”.

C’è il coprifuoco?

Assolutamente no. New York non è in grado di controllare i milioni cittadini. Immaginate che non c’è mai stata nemmeno una vera e propria quarantena. Siamo sempre stati liberi di uscire. Nei giorni scorsi hai realizzato un video, Manhattan sembra una zona di guerra. Esattamente tutte le proteste sono iniziate pacificamente fino a dilagare in scontri e violenza.

Come stai vivendo questa esperienza di catanese che vive in una città straniera? Hai paura? 

Io amo e odio New York, ma nell’ultimo anno è diventata una città speciale per me, mi sento a casa, quasi come fossi a Catania. Mi capita di incontrare tante persone che conosco durante il giorno, così per caso, camminando per la strada o attraversando una piazza. È una cosa che inizialmente mi lasciò a bocca aperta, perché quando avevo diciotto anni qui mi sentivo proprio un piccolo pesce in un lago infinito. Se ho paura? No. Credo che essere qui in questo duro momento per l’umanità sia un’importante esperienza di vita, non è facile e devo ammettere che ho avuto paura a volte. Paura di non poter tornare in Italia causa covid-19, paura per i miei familiari e amici e paura di essere caricato brutalmente dalla polizia o di essere colpito da bottiglie e mattoni che venivano lanciati.

Da quanto tempo vivi nella Grande Mela? Ti aspettavi potesse succedere a Nyc una situazione del genere?

Sono qui negli Stati Uniti da tre anni. Sono partito subito dopo i miei esami di Stato per frequentare l’Università qui. Mi aspettavo una situazione così a New York. Come dicevo la rabbia sociale qui è sempre nell’aria. Le classi disagiate americane vivono situazioni aliene a noi italiani. E allo stesso tempo a Manhattan una persona su 10 probabilmente è milionaria.

Hai vissuto anche New York con l’emergenza Covid. Come è stata affrontata?

Il Covid-19 è stato affrontato in modo ridicolo da parte degli Stati Uniti e soprattutto da parte di Cuomo, governatore dello Stato di New York. I test sono stati a pagamento per le prime settimane dell’epidemiam successivamente diventavano gratis per chi risultava positivo. Chi non era coperto da un’assicurazione sanitaria privata era costretto a pagare una cifra di circa 2000 dollari. Non c’è mai stata neppure una vera quarantena: tutti i ristoranti sono rimasti aperti da asporto, mostrando il radicato consumismo della società americana. A mio parere le persone avrebbero potuto farne a meno. Oltretutto avevo fatto richiesta per un’erogazione di fondi da parte della Regione Siciliana che ha stanziato un fondo di 7milioni di euro per gli studenti all’estero con un benefit personale di 800 euro che non ho mai ricevuto dopo essermi qualificato. Ma non posso mentirvi sul fatto che ho amato New York in modalità post-apocalisse. I primi giorni andavo in bici per le strade vuote e senza rumori: era uno scenario idilliaco. Non avevo mai visto New York così. Sono stato anche innamorato durante il virus, quindi credo che essere rimasto qui a New York sia stata una buona scelta e una grande esperienza di vita, qualcosa che racconterò un giorno ai miei nipoti.

In queste ore sta girando sui media italiani la foto dei poliziotti di Miami inginocchiati per rendere omaggio a Floyd. E’ un’immagine che riesce a raccontare una parte vera dell’America?

Sì e no, perché le grandi città come Miami, New York e Los Angeles sono molte lontane dalla realtà del resto degli Stati Uniti. Sono gli stati interni e più rurali di predominanza politica Repubblicana che rappresentano gran parte della popolazione e vivono costumi ben diversi dai canoni idealistici Democratici più liberali che vigono nelle metropoli.


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