Salvini e quelle chat | nella testa dei giudici - Live Sicilia

Salvini e quelle chat | nella testa dei giudici

Perché quelle parole potrebbero avere un peso.

Manovra a Tinaglia
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2 min di lettura

Facciamo una cosa: mettiamo da parte il fatto che rappresentano un formidabile assist per Matteo Salvini il quale si sta già chiedendo (ed ha già chiesto a Sergio Mattarella) quale potrà essere il parametro di serenità col quale verrà giudicato nel processo che inizierà ad Ottobre (vicenda della nave Gregoretti-Luglio 2019). Non ci vuole molta fantasia per immaginare che il contenuto delle chat tra magistrati, chat che hanno denotato un diffuso senso di avversione nei suoi confronti, verrà agitato a più riprese, a nulla valendo il rilievo che avessero come tema il diverso caso della nave Diciotti.

Ma non è di questo che voglio parlare. Mi chiedo, semmai, quale impatto potrebbero avere, le predette chat, sui Giudici che dovranno occuparsi della vicenda. Provo a spiegarmi.

Decisioni favorevoli all’imputato, potrebbero essere lette o percepite come un ostentato segnale di essere “altro” e, comunque, al di sopra del tenore, decisamente poco amichevole, anzi, apertamente ostile, delle chat. Decisioni sfavorevoli al leader della Lega, verrebbero, invece, interpretate come la inevitabile proiezione, in sede giurisdizionale, di quel contesto malevolo emergente dalle conversazioni virtuali.

Il punto è che questo lo sanno bene anche i Giudici del caso Salvini, e la loro consapevolezza delle alternative letture da parte della collettività, più che attenta ai processi di grande impatto mediatico, potrebbero tradursi in spinte emotive sotterranee in grado di interagire, con quella che dovrebbe solo essere una valutazione tecnica delle risultanze processuali e dell’inquadramento giuridico della vicenda.

Insomma, il contenuto di queste chat, rappresenta un elemento distorsivo potenzialmente idoneo a condizionare ogni decisione che, a quel punto, potrebbe essere non tecnicamente “dovuta”, ma solo “voluta”, anche inconsapevolmente, in funzione di quelle chiavi di lettura inevitabilmente connesse alle conversazioni captate. Un vero e proprio “agente patogeno” in un processo che già nasce in un contesto di accesa contrapposizione politico-ideologica

Mi verrebbe di chiamarlo un virus. Ma è meglio di no.


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