Confindustria Calabria e Sicilia|Unite per dire sì al Ponte - Live Sicilia

Confindustria Calabria e Sicilia|Unite per dire sì al Ponte

Alessandro Abanese
Il documento congiunto per chiedere la realizzazione dell'infrastruttura.
INFRASTRUTTURE
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5 min di lettura

PALERMO – Sono passati 65 anni, spesi 960 milioni di euro, coinvolti circa 300 progettisti, 100 tra società, enti, atenei. Ma ancora da Messina a Villa San Giovanni ci vuole il traghetto. Per 3,3 km un’ora, se va bene.

Tutte le scandalose cifre del ponte sullo Stretto sono contenute in un dossier preparato in maniera corale dagli industriali delle due regioni Calabria e Sicilia. Unindustria Calabria, Sicindustria, Confindustria Catania e Confindustria Siracusa sono insieme per una istanza di civiltà: “Non si può parlare di futuro e non si può parlare di Italia senza ponte. Siamo nel 2020, usciamo da una pandemia: non c’è spazio e non c’è tempo per battaglie ideologiche. Sicilia e Calabria sono distanti 3 miglia. Un trasportatore può impiegare (dipende dal traffico) fino a 3 ore per varcare lo Stretto – rilevano il vicepresidente vicario di Sicindustria Alessandro Albanese, il vicepresidente di Confindustria Natale Mazzuca, il presidente di Confindustria Catania Antonello Biriaco, e il presidente di Confindustria Siracusa Diego Bivona -. Questo è inaccettabile, in un’epoca in cui il mondo viaggia con l’alta velocità. Scandaloso in un Paese in cui un progetto di rilancio e unità del Paese diventa terreno di scontri politici e merce di scambio nella becera partita delle logiche spartitorie. Occorre programmare la ripresa dell’Italia e questa passa dall’alta velocità, Calabria e Sicilia comprese. Cioè dal ponte sullo Stretto. Occorre scardinare il falso paradigma secondo cui costruire il ponte significa non realizzare e/o completare le altre infrastrutture necessarie. “Non si farà mai” è una formula senza visione. È il pretesto per chi non vuole progettare un modello di sviluppo del Meridione slegato da dipendenze politiche ed economiche. È un alibi per chi preferisce guardare al Sud con lo specchietto retrovisore”.

La richiesta degli industriali della Calabria e della Sicilia ha il peso specifico di una rappresentanza diffusa e articolata: in Sicilia un totale di ricavi che sfiora i 40 miliardi, in Calabria oltre 20 miliardi di euro. Insieme si tratta di una robusta falange di oltre 650 mila imprese che, unite, sostengono l’improrogabilità del ponte.

Per realizzarlo è necessaria una gestione commissariale, con tempi e costi certi. Per far sì che non ci sia più un Paese diviso a metà.

IL REPORT

Quanto costa il ponte. Quanti esempi ci sono già nel mondo. Quanti anni per la costruzione. Quanti fondi già investiti. Quanti enti, progettisti, finanziatori, imprese, quanti soggetti coinvolti finora. Tutti i numeri di uno dei più clamorosi buchi nell’acqua della storia della Repubblica.

I NUMERI DEL PROGETTO

3.300 metri campata centrale; 3.666 metri lunghezza complessiva con le campate laterali; 60,4 metri larghezza dell’ impalcato; 6 corsie stradali, 3 per ciascun senso di marcia (veloce, normale, emergenza); 2 corsie stradali di servizio; 2 binari; 6.000 veicoli/ora capacità; 200 treni/giorno capacità; 382,60 metri altezza torri; 2 coppie di cavi sistema di sospensione; 5.300 metri lunghezza complessiva dei cavi; 1,24 metri diametro dei cavi di sospensione; 44.352 fili di acciaio per cavo; 65 metri di altezza per 600 di larghezza di canale navigabile centrale; 50 metri di altezza per 1.000 di larghezza per ciascuno dei canali navigabili laterali.

COSTO COMPLESSIVO – La stima aggiornata dell’investimento complessivo è di 8,5 miliardi di euro, ma la cifra è lievitata di 2,2 miliardi rispetto alle precedenti stime del progetto preliminare (6,3 miliardi) soprattutto per le varianti richieste dagli enti locali

INVESTIMENTI SOSTENUTI FINORA

Il Ponte finora è costato quasi un miliardo. La Corte dei Conti ha calcolato che la Società Stretto di Messina SPA ha speso dal 1981, anno della sua costituzione, al 2013, anno della decisione di liquidarla, 958.292 milioni di euro. A questi vanno sommati altri sei milioni dal 2013 al 2016.

Nel dettaglio: dal 1981 al 2001 ha speso 74,443 milioni per studi di fattibilità, ricerca e progetto di massima. Negli anni (2002-2003) ne ha spesi altri 91,246 per il progetto preliminare e gli atti di convenzione, per poi spenderne 146,999 nel 2004-2006 per la gara di appalto, il piano finanziario, i sistemi informativi e gestionali.

La sospensione delle attività nel biennio 2007-2008 è costata, paradossalmente, 160,612 milioni. Nel 2008 sono iniziate le attività per gli accordi con i contraenti, l’aggiornamento delle convenzioni e il piano finanziario terminate l’anno successivo, che hanno comportato un esborso di 172,637 milioni. Tra il 2010 e il 2013 la Stretto di Messina ha speso 312,355 milioni: le causali sono la stesura del progetto definitivo, il monitoraggio ambientale, l’aggiornamento del piano finanziario e la stipula dell’atto aggiuntivo. Nel 2013 è stata decisa la liquidazione della società, che è costata quasi due milioni l’anno nel 2014 e 2015 e 1,5 milioni per il 2016. Ancora oggi la società è attaccata al respiratore artificiale di un commissario liquidatore che percepisce un compenso annuo di 160 mila euro oltre alle spese legali di un contenzioso giudiziario con l’affidataria dei lavori Eurolink. La causa è ancora in corso.

IL CARO VOLI E IL CONFINO SICILIANO

Prima lo scandalo scoppiava ogni anno per le feste o i ponti di primavera. Oggi lo scandalo è diventata la regola. In tempi di ripresa post Covid un biglietto aereo Palermo-Roma o Catania-Roma costa mediamente 600 euro e sono pochissimi i voli disponibili. La riduzione delle tratte, i nuovi vincoli che il Decreto Rilancio impone alle low cost, l’abbandono di Birgi da parte di Alitalia sono alcune delle cause che costringono i siciliani alla condizione di confinati.

Palermo/Catania-Milano e ritorno: due voli al giorno

Palermo/Catania-Roma e ritorno: 5 voli al giorno

Come se il Mezzogiorno non fosse vittima di quello che lo Svimez ha chiamato Trappola Demografica. Dal 2000 a oggi hanno lasciato il Mezzogiorno 2 milioni e 15mila residenti, la metà giovani fino a 34 anni, quasi un quinto laureati. Il meridione rischia di spopolarsi e questo crollo demografico ha un costo, stimato a oltre a un terzo del Pil. Parallelamente alla fuga dal Mezzogiorno, cresce il gap occupazionale tra Sud e Centro-Nord, che nell’ultimo decennio è aumentato dal 19,6% al 21,6%. In totale il Sud si ritrova 3 milioni di posti di lavoro in meno rispetto al resto d’Italia. Analogamente la qualità del lavoro peggiora da Roma in giù. Al Sud aumenta la precarietà che si riduce invece nel Centro-Nord, mentre cresce il part-time (+1,2%), in particolare involontario, che nel meridione raggiunge l’80% rispetto al 58% del Centro-Nord.  Per quest’onda di emigrazione intellettuale tornare a casa non è più una necessità, ma un lusso.

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