Mafia, pizzo e discoteche Chiesta la condanna del boss LiveSicilia.it

Mafia, pizzo e discoteche|Chiesta la condanna del boss

Alla sbarra Massimiliano Salvo, u carruzzeri. Nel corso del dibattimento l'esponente del clan Cappello ha deciso di rispondere.

CATANIA – La mafia affonda gli artigli negli affari della movida. Il business del ‘divertimento’ attrae i clan catanesi. L’estorsione è molte volte il prezzo da pagare per avere la ‘protezione’ (così la chiamano, nrd) necessaria per non avere “disordini”.

Questo è accaduto tra 2016 e il 2017 allo Stone e all’Ecs Dogana di Catania: mille euro al mese da versare al boss del clan Cappello Massimiliano Salvo prima e, poi, al fratellastro Francesco che si sarebbe servito di Kristian Zappalà per ‘incassare’. Ed è lui che la Polizia di Catania ormai due anni or sono ha arrestato in flagranza con 1000 euro in tasca consegnati personalmente – come documentato dalle telecamere piazzate dalla Squadra Mobile di Catania – da Rosario Coniglione, titolare della discoteca Stone e uno dei soci dell’Esc Dogana. 

Una vicenda giudiziaria che è stata al centro di due filoni processuali: il rito abbreviato ha visto alla sbarra Ciccio Salvo e Kristian Zappalà, che sono stati condannati in appello a 4 anni e 1000 euro di multa. Il troncone ordinario,che vede imputato Massimo Salvo, detenuto al 41bis, è alle fasi finali: il 29 settembre 2020 è prevista la sentenza del Tribunale di Catania. 

Il boss dei Cappello rischia un’altra condanna pesantissima. La pm Antonella Barrera ha chiesto una condanna a 11 anni e 15.000 euro multa. Il sostituto procuratore della Dda ha esaminato passo dopo passo l’intero impianto accusatorio. Dalle intercettazioni che inchiodano il pagamento dell’estorsione, ai racconti di Rosario Coniglione che – davanti alla polizia – non ha potuto far altro che ammettere quello che era palese. Quei soldi sarebbero stati destinati a Francesco Salvo, che dopo l’arresto del fratellastro di Massimo Salvo nella maxi operazione Penelope del 2017 si sarebbe presentato al suo posto ricordandogli di “onorare gli impegni”. 

Nell’ultima udienza, vi è stata la discussione anche della difesa dell’imputato. L’avvocato Giorgio Antoci ha chiesto l’assoluzione di Massimo Salvo per il reato di estorsione aggravata. E inoltre – in base a quello che è emerso dal dibattimento – il penalista ha chiesto l’invio degli atti alla procura per la contestazione dell’articolo 12 quinquies. Per Antoci, insomma, ci sarebbero gli elementi per l’intestazione fittizia. 

Massimiliano Salvo in questo processo ha deciso di farsi interrogare. Ed è qui, come già è emerso nel corso del processo d’appello Penelope dove il boss ha depositato una missiva, che l’imputato per la prima volta parla di “volersi dissociare” dalla sua vita criminale. Un ravvedimento un po’ tardivo, in verità.

Ma c’è di più. Un altro processo si incrocia con questo: l’inchiesta Zeta fa emergere che “il controllo” della security dell’Ecs Dogana sarebbe stato in mano alla famiglia Zuccaro, noti esponenti di vertice del clan Santapaola. Da quell’indagine, inoltre, emerge un summit avvenuto proprio a ottobre 2016 tra Rosario Zuccaro, figlio maggiore del boss Maurizio, e Massimiliano Salvo.

E sarebbe stato questo blitz, almeno così racconta il boss durante il suo esame, a farlo decidere di vuotare il sacco. Massimo ‘u carruzzeri’ racconta di essere stato una sorta di ‘socio occulto’ di Rosario Coniglione nella discoteca e di avergli ‘addirittura’ prestato dei soldi. Ricostruzione assolutamente respinta dall’imprenditore che dopo la deposizione dell’imputato è stato richiamato dal Tribunale.

Dal dibattimento sono venuti fuori aspetti che hanno fatto decidere il Tribunale – su sollecito anche della difesa – di citare come teste anche Alessandro Scardilli, l’altro socio dell’Esc Dogana. Anche se in realtà nella pratica, la quota societaria era intestata all’ex compagna. 

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