Figli e figliocci di boss in trasferta per una rapina: i retroscena del colpo

Figli e nipoti di boss| In trasferta per una rapina

I retroscena del colpo messo a segno a Cesena. Hanno confessato, ma restano tanti dubbi

PALERMO – Sembrava una rapina come tante altre. Ma i nomi degli arrestati impongono agli investigatori un approfondimento.

Lo scorso 10 luglio finiscono in carcere quattro palermitani per una rapina messa a segno cinque mesi prima alla “Romagna banca” di Cesena. Bottino da 86 mila euro.

Sono Gaetano Barone, 48 anni, Fabio Catalano, 32 anni, Marco Cusimano, 37 anni e Giovanni Mineo, 55 anni, tutti noti alle forze dell’ordine. Noti per i precedenti, ma anche per le parentele. Hanno confessato, raccontando di essere partiti per vedere una partita di calcio a Napoli e si sono ritrovati squattrinati a Cesena. Talmente squattrinati da organizzare una rapina. Una ricostruzione, al netto della confessione, che non regge.

Mineo è nipote di Settimo Mineo, capomafia di Pagliarelli, il boss che ha presieduto la riunione della nuova cupola di Cosa Nostra nel maggio di due anni fa.

Gaetano Barone, che è l’unico incensurato, è figlio di Francesco Paolo, reggente del mandamento morto per cause naturali due anni fa nel carcere di Pagliarelli. Aveva 64 anni. Il ruolo di quest’ultimo emerse nel blitz Perseo del 2008. Per anni aveva fatto il capo poi fu messo da parte per due motivi.

Era fra coloro che avevano espresso i dubbi maggiori sulla volontà di convocare allora la commissione provinciale e riceveva critiche sulla gestione della cassa.

In un’intercettazione del 10 settembre 2008 Sandro Capizzi diceva a Giovanni Adelfio (entrambi di Villagrazia) e Pino Scaduto (capomafia di Bagheria): “…a Paoluzzo Barone gli verrà comunicato da noi, tutti assieme, che lui è fuori… motivi gli saranno comunicati là… perché quello che ha combinato è una cosa incredibile… anche Pagliarelli come famiglia gli si dà al latitante e a Giuseppe Calvaruso, sono in grado di gestirsela abbondantemente”.

Il latitante era Giovanni Nicchi, figlioccio di Nino Rotolo, che sarebbe stato arrestato nel 2009. Calvaruso, invece, è uno dei tanti boss scarcerati.

Andiamo al colpo. In banca entrano in due. A volto scoperto. Uno tiene in mano il portafogli, facendo finta di essere un cliente. Uno scavalca il bancone, stringe per il collo la cassiera. L’altro disarma la guardia giurata sfilando la pistola.

Arrivano gli altri due complici, parzialmente travisati con sciarpa e berretto. Costringono i presenti a consegnare i telefonini, li chiudono in una stanza e obbligano la cassiera ad avviare la procedura temporizzata di apertura della cassaforte. Un impiegato viene costretto a servire alcuni clienti come se nulla fosse.

Passano 53 minuti, dalle 15:00 alle 15:53. Si apre la cassaforte, prendono i soldi e scappano a bordo di una Mercedes Classe A. Gli investigatori raccolgono le testimonianze dei dipendenti e acquisiscono i filmati.

Catalano è proprietario di una macchina uguale per modello e colore a quella usata dai banditi per la fuga. Ha rapporti con Mineo con cui ha alloggiato nel giugno 2019 all’Hotel Europa di Ancona e a luglio all’Hotel Jolie di Riccione.

Mineo e Barone ci conoscono da tempo. Sono padrino e figlioccio. Gli investigatori non lo sanno. Sanno, però, che sono stati controllati nel gennaio scorso agli imbarcaderi di Reggio Calabria con due auto prese a noleggio. E poi ci sono i riconoscimenti delle persone presenti in banca.

L’indagine è della Procura di Forlì, ma anche a Palermo si sono attivati. La freddezza con cui hanno messo a segno il colpo farebbe ipotizzare a una batteria di rapinatori esperti (a Cusimano e Catalano viene tra l’altro contestata una tentata rapina alla Cassa di risparmio di Senso Fiorentino).

Del bottino da 86 mila euro non c’è traccia. A cosa è servito? E qui entra in ballo l’ipotesi che il denaro sia stato utilizzato da qualcun altro. Per comprare droga? È solo un’ipotesi, ma l’indagine è all’inizio. La tesi della rapina improvvisata non regge.

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