Demolizione Santa Marta. L'appello di docenti e architetti

Demolizione Santa Marta|L’appello di docenti e architetti

Una proposta articolata per intervenire in modo omogeneo su quell'area di Catania.
IL DOCUMENTO
di
6 min di lettura

CATANIA – Un intervento che non convince del tutto. Di certo non i promotori dell’appello rivolto al presidente della Regione, Nello Musumeci e all’assessore ai Beni culturali, Alberto Samonà, che chiedono di ripensare l’annunciata demolizione della struttura moderna che “nasconde” il tesoro architettonico e barocco dell’ospedale Santa Marta. L’appello, sottoscritto da alcuni docenti universitari e architetti, affronta la questione evidenziando come quanto proposto non sia in linea con la struttura urbanistica della città e, pertanto, occorra ripensarlo.

“Gentile Presidente, gentile Assessore – si legge – su vari organi locali di informazione è apparsa una Sua dichiarazione con la quale si annuncia la prossima demolizione della parte dell’ex ospedale Santa Marta prospiciente le vie Clementi e Santo Bambino, costruita nei primi anni sessanta, nonché la realizzazione di una piazza al fine di conferire “il giusto decoro a un gioiello dell’architettura settecentesca del Vaccarini”. 

Le osservazioni

La geometria della città antica, i “vuoti urbani” e gli allineamenti. Sono specifiche le osservazioni all’interno dell’appello.

“In relazione a ciò riteniamo necessario sottoporle sinteticamente alcune considerazioni nella convinzione che Ella vorrà prenderle nella dovuta considerazione – prosegue l’appello. Poiché riteniamo corretto l’obiettivo, da lei enunciato, di consegnare “nuovamente alla Catania barocca una propria omogeneità urbanistica e architettonica”, non ci pare che l’intervento proposto – ovvero la demolizione dell’edificio realizzato sui due allineamenti stradali, senza che se ne preveda una più adeguata riedificazione – si muova entro questa logica. Anzi è evidente che la creazione di un vuoto nel tessuto storico si pone proprio come una disomogeneità che contraddice le condizioni morfologiche di questo brano di città, che è sempre stato caratterizzato da una edificazione a cortina lungo gli allineamenti stradali, come è evidente nell’immagine del Vacca del 1760 e nella pianta della città dell’Ittar del 1832.

Ed ancora, l’intervento proposto, lungi dal restituire “il giusto decoro” all’edificio incautamente attribuito al Vaccarini, finisce per sconvolgerne i rapporti architettonici che derivano dall’essere parte di una corte chiusa, e dunque ad essa tipologicamente e spazialmente commisurata, come confermato anche dal trattamento del fronte sud dell’edifico con la giustapposta scala esterna (presente -questa si del Vaccarini- anche nel palazzo San Giuliano) che é proprio di uno spazio scoperto di mediazione, appunto una corte. L’edificio viene così impropriamente decontestualizzato ed incongruamente proiettato in uno spazio pubblico (la prevista piazza) nel quale risulterà elemento estraneo e contradittorio.

Non basta la demolizione di un edifico, seppur incongruo e degradato, per riqualificarne il contesto e valorizzare le altre singole architetture presenti. Occorre che le scelte siano assunte a seguito di una attenta analisi, perseguita in termini disciplinari, che interessi, se non la parte di città, almeno l’intero isolato. Ed invece l’intervento proposto si pone come un frammento, motivato da fatti contingenti (il trasferimento del Santa Marta e la vetustà dell’attuale edificio), e non come tessera di un mosaico che segua un disegno complessivo e dunque dotato di senso e finalità. 

L’intervento proposto pone due problemi di ordine generale. Il primo è di natura, per così dire, culturale ed attiene alla legittimità di creare squarci nel tessuto storico. La demolizione di un edificio e la conseguente  creazione di un “vuoto” non é anch’esso un progetto di architettura che per tanto va inquadrato nei termini propri? La creazione di una piazza non é anch’essa  una operazione trasformativa che ha ampia ripercussione nel contesto e che potrebbe anche essere deleteria? L’alterazione del tessuto storico con diradamenti, anche modesti, che si propone come azione isolata, non trova fondatezza soltanto all’interno di un quadro complessivo di riferimento analiticamente supportato?

Il secondo è di ordine normativo: poiché un intervento di questo tipo, ovvero di alterazione del tessuto urbano in zona A, stante le attuali norme, non è assentibile, se fosse comunque realizzato -seppur in contrasto con la norma – perché si tratterebbe di un intervento pubblico, non sarebbe poi possibile concedere tale possibilità anche per gli interventi privati? Come parimenti non consentire, ad esempio, attraverso l’uso distorto che se ne fa della ristrutturazione nel centro storico, la demolizione di un edificio e la sua ricostruzione arretrata rispetto all’allineamento preesistente?

Per tanto chiediamo a Lei, signor Presidente, in quanto promotore dell’iniziativa, ed all’Assessore Samonà in quanto guida dell’Assessorato preposto alla tutela dei Beni Culturali Siciliani, ognuno per il proprio ruolo e responsabilità, di approfondire i termini della questione posta dalla demolizione, prospettata in assenza del necessario quadro di riferimento,  del corpo novecentesco del Santa Marta e dalla creazione di una piazza, alla luce delle considerazioni qui esposte”.

La proposta

La proposta è ampliare la zona di intervento, coinvolgendo anche l’area intorno, in particolare la via Plebiscito e la zona dell’Antico Corso, anche questa privata di un presidio ospedaliero rimasto, attualmente, vuoto.

“Chiediamo, nel merito, che le SS.VV., di concerto con il Comune di Catania, a cui comunque spetta la decisione definitiva, vogliano sottoporre le questioni che solleva questo nostro intervento ad un concorso di idee relativo a più ampia scala che arrivi fino a via Plebiscito, ad esempio nella formulazione di piano di recupero – affermano i professionisti. Si potrebbero così porre anche le questioni relative alla demolizione/sostituzione degli edifici del Santo Bambino, ai reperti abbandonati accanto la via della Purità ed a quelli che la stessa area del Santa Marta potrebbe ancora custodire. Sarebbe questa la giusta modalità per giungere alla definizione della sinopia del mosaico in relazione alla quale collocare le varie tessere, ovvero di realizzare i vari interventi.

Ciò senza dimenticare che è l’intero comparto di città interessato dagli ospedali dismessi (tra i quali, oltre al S. Marta e al S. Bambino, il Vittorio Emanuele ed il Ferrarotto) che, rappresentando una incredibile occasione per l’assetto della città, necessita urgentemente di una adeguata e completa riflessione capace di produrre le regole, certe e condivise, che siano da guida alle varie scelte ed alle conseguenti diverse azioni cosicché si possano dare risposte organiche ed adeguate ai fabbisogni della città! Ciò senza dimenticare anche che Catania ha un Piano Regolatore Generale vecchio di cinquant’anni”.

L’auspicio finale è che l’intera città sia ripensata. “Infine il senso dell’appello che viene rivolto alle SS.VV. (non solo, ma in primo luogo agli organi elettivi comunali) sottintende la richiesta di un’azione sulla città, su Catania, che esca, una volta e per sempre, dalla logica dell’emergenza, dell’atto isolato, del progetto fuori contesto. Il centro storico di Catania, dichiarato dall’UNESCO Patrimonio dell’Umanità, oggi a forte impatto turistico ed economico, risorsa insostituibile del territorio e dell’area urbana etnea, ha subito, e continua a subire, troppe ferite e speculazioni dal secondo dopoguerra ad oggi. Perché esca davvero dal degrado è tempo di azioni che si inquadrino in un progetto omogeneo, serio, condiviso e durevole. Fare diversamente è forse utile ad azioni di propaganda politica dalle quali siamo certi Lei sia alieno – si legge in conclusione. Ma è inutile, se non dannoso, per la città”.

Foto CataniaMobilita.org


Partecipa al dibattito: commenta questo articolo

Segui LiveSicilia sui social


Ricevi le nostre ultime notizie da Google News: clicca su SEGUICI, poi nella nuova schermata clicca sul pulsante con la stella!
SEGUICI