Etna, l'analisi dopo il terremoto: "Quella faglia è attiva"

Etna, l’analisi dopo il sisma|”Quella faglia è attiva”

Il geologo scatta una fotografia della situazione del vulcano attivo più alto d'Europa.
L'INTERVISTA
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5 min di lettura

ETNA – Fratture nel terreno, segni evidenti del passato recente o meno, antropizzazione massiccia e poca lungimiranza. L’Etna e il suo territorio restano osservati speciali non solo per quanto riguarda l’attività vulcanica, costantemente oggetto di studio e ripresa da alcuni mesi, ma anche per il rischio sismico, a questa direttamente collegato.

Il passato recente

Sono passati poco più di sedici mesi dall’ultimo terremoto che ha colpito il versante Nordest dell’Etna, provocando ingenti danni in alcune zone, in particolare Fleri, cittadina già distrutta da un sisma negli anni Ottanta e la possibilità che si possa verificare un nuovo evento distruttivo non è affatto remota. Soprattutto perché alcuni insediamenti sono realizzati in perfetta corrispondenza di alcune faglie della crosta terrestre. Come spiega il geologo Carlo Cassaniti che, recentemente, ha pubblicato alcune fotografie eloquenti.

Dott. Cassaniti, le immagini che ha postato sul suo profilo Facebook riportano alla mente il sisma di Santo Stefano. C’è rischio sull’Etna? Qual è la situazione dal punto di vista sismico e geologico?

L’Etna è un vulcano attivo e come tale è fonte di pericolosità geologica. Dal punto di vista vulcanico, in quanto nella storia recente ha già dimostrato di poter impattare sulla vita dei suoi abitanti, modificando il territorio con colate laviche anche laterali e con attività esplosiva con grandi emissioni di cenere. Sismicamente l’Etna è altrettanto attivo con le proprie strutture vulcano-tettoniche che con tempi di ritorno molto bassi (anche meno di 20 anni), ricordano agli abitanti quanto sia importante avere consapevolezza di vivere in un’area geologicamente molto attiva.

Vi sono aree particolarmente delicate sulle quali occorrerebbe intervenire tempestivamente?

Gli studi recenti sul vulcano hanno migliorato molto il livello di conoscenza geologica e pertanto oggi è possibile sapere quali aree sono interessate da fenomeni di fagliazione superficiale che si manifesta sia con attività sismica che con fasi denominate di “creep asismico”.

Nella figura sottostante (tratta da Bonforte et alii, 2011) è possibile osservare come il vulcano sia stato suddiviso in diversi blocchi con cinematismi differenti che provocano i fenomeni sopra accennati e in tali aree, ormai cartografate con certezza e monitorate in continuo dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia – Osservatorio Etneo di Catania, si concentra la maggiore pericolosità sismica”.

(Bonforte et alii, 2011)

Molte di queste strutture tettoniche sono conosciute anche  dalla popolazione, come ad esempio il sistema della Faglia della Pernicana a nord-est che ha generato il terremoto del 2002 o la Faglia di Fiandaca che ha interessato i territori di Zafferana Etnea (Fleri) e Acireale (Pennisi) nel dicembre 2018. Gli studi multidisciplinari continuano per rendere sempre più comprensibili i meccanismi legati a queste strutture tettoniche, al fine di trasferire tali informazioni alla pianificazione territoriale.

La massiccia urbanizzazione dei fianchi della montagna aumenta il rischio geologico nell’area vulcanica? 

Certamente la presenza dei cittadini, di strutture e infrastrutture nell’area vulcanica, rappresentano elementi di rischio geologico soprattutto in corrispondenza dei lineamenti strutturali dove si sono registrati forti danni durante i terremoti etnei. E anche vero, però, che l’Etna rappresenta anche una immensa fonte di ricchezza per la popolazione locale sia in termini di apporto idrico sia per la fertilità dei terreni vulcanici. L’espansione edilizia del dopo guerra non ha purtroppo tenuto conto di determinati fattori di rischio, che nei decenni sono stati sempre meglio studiati ma che hanno sempre rappresentato un forte vincolo allo sviluppo del territorio. Oggi, con gli studi di microzonazione sismica condotti da noi geologi, per esempio, è possibile conoscere il comportamento del terreno a seguito di una sollecitazione sismica e pertanto non solo progettare tenendo conto di eventuali fattori di risposta sismica locale (come l’amplificazione del terremoto), ma soprattutto programmare l’espansione urbanistica verso zone più sicure.

Quale sarebbe lo scenario, oggi, se dovesse verificarsi un forte sisma? 

Se consideriamo i terremoti etnei che, a differenza di quelli regionali (es. terremoto della Val di Noto – 1693), hanno energia non molto elevata e spesso sono superficiali (es. terremoto di Santo Stefano 2018), gli scenari sono quelli registrati negli ultimi 20 anni: danneggiamento al patrimonio edilizio storico e monumentale, danneggiamento degli edifici non adeguati sismicamente perché costruiti in epoca pre-legge sismica (anni 70), ma soprattutto impreparazione da parte dei cittadini e delle istituzioni.

Come si dovrebbe intervenire per mettere in sicurezza queste aree e i suoi abitanti?

A mio avviso sono almeno tre i punti su cui si dovrebbe investire in tema di sicurezza antisismica:

il primo è costruire bene i nostri nuovi edifici e adeguare sismicamente il patrimonio edilizio esistente (penso alle centinaia di scuole italiane che non sono mai state neppure collaudate, ma ospitano quotidianamente i nostri figli);

il secondo punto riguarda il cittadino e l’autoprotezione da eventi calamitosi con norme comportamentali adeguate e la consapevolezza dei rischi naturali presenti nel territorio su cui si vive.

Terzo e ultimo punto, una “governance” più responsabile del territorio, ovvero l’applicazione delle conoscenze tecniche e scientifiche alla pianificazione urbanistica. Come? Per esempio dopo aver individuato e caratterizzato sismicamente le aree interessate da dislocazioni tettoniche, escluderle dalla edificazione individuando zone più sicure per i nuovi insediamenti. Tale processo è affidato alla Politica che deve fare scelte spesso impopolari, ma che rappresentano una polizza per le vite dei cittadini etnei. 

E’ proprio il caso della Faglia di Fiandaca che deve farci riflettere: già nel 1914 il prof. Platania in una relazione molto dettagliata aveva consigliato di non edificare in corrispondenza della linea di faglia (da lui rilevata), ma evidentemente se dopo 100 anni in quelle aree diversi fabbricati sono stati danneggiati dal sisma nel 2018, significa che non si è mai completato quel processo virtuoso della pianificazione territoriale che dovrebbe garantire lo sviluppo di un territorio a favore della sicurezza dei cittadini. 

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