La Sicilia come "Altro Israele" Storia degli ebrei a Catania

La Sicilia come “Altro Israele”|Storia degli ebrei a Catania

Da Carmine Fontana ad Andrea Giuseppe Cerra, un libro per riscoprire le tracce della presenza giudaica nell'Isola.

Un libro destinato a tenere viva una traccia di memoria e recuperare un’ampia serie di documenti sulla comunità giudaica etnea altrimenti perduta. Andrea Giuseppe Cerra, con Gli ebrei a Catania nel XV secolo. Tra istituzioni e società per i tipi di Bonanno Editore (la prefazione è di Giuseppe Speciale) compie un’importante opera di cucitura storica. Si tratta della ripubblicazione (ma con un articolato apparato critico e introduttivo) di un altro libro a suo modo fondamentale: Gli ebrei in Catania.

Scritto a inizio secolo scorso da Carmine Fontana e che, a sua volta, riporta a galla una vasta collezione di testimonianze riguardanti la presenza israelitica in Sicilia nel passaggio tra il Medioevo e l’Età moderna. Abbiamo a che fare con materiale finito irrimediabilmente obliato a seguito dell’incendio che distrusse Palazzo degli Elefanti, durante la rivolta del Non-si-parte (1944), assieme ai suoi archivi. 

Il Fontana

Il testo di Fontana è il risultato della tesi consegnata, sotto la supervisione dello storico Vincenzo Casagrandi, il 21 novembre del 1900 ai membri della commissione di laurea. Risultato? “Il massimo dei voti, la lode e la dignità di stampa”. All’interno, sistemò un’appendice formata dalla trascrizione di 607 atti riguardanti gli ebrei di Catania, compresi, nell’arco cronologico 1413-1495.

“Questo prezioso apparato – ci spiega Cerra –, ascrivibile in pieno alla concezione positivistica della ricerca storica del tempo, costituisce un vero e proprio tesoro per la storia della presenza ebraica in Sicilia perché ha preservato per le future generazioni notizie legate alle istituzioni, ai nomi di personaggi, alle transazioni, a vicende economiche e sociali, all’interazione con la maggioranza cristiana di una delle più interessanti comunità ebraiche dell’isola che altrimenti sarebbero cadute irrimediabilmente in un nebuloso oblio”.

Istituzioni

Una presenza, quella ebraica, integrata non solo socialmente, ma istituzionalmente, con figure riconosciute dagli organi di governo territoriali: “Nel mio lavoro di ricerca – aggiunge – ho provato ad approfondire le tematiche riguardanti il rapporto della comunità giudicata con le istituzioni, in particolar modo la figura del giudice supremo degli ebrei, il dienchele. Tra le figure citate sicuramente è meritevole di ulteriore menzione quella della medichessa Virdimura, prima donna ebrea che nel 1376 fu autorizzata ad esercitare la professione medica”.

Tra le attività commerciali della comunità giudaica riveste particolare importanza la vendita del cosiddetto prodotto iudiscu, carne, vino, formaggio, cioè quei prodotti rivolti solo agli ebrei e che rispettano i dettami delle sacre scritture ebraiche. Per quanto concerne la carne, essa, richiede per essere consumata dagli ebrei, così come altri alimenti, il rispetto delle regole della Kasherùt. 

La macellazione

Spiega ancora Cerra: “La macellazione ebraica è regolata da tecniche e strumenti ben precisi. Agli ebrei è fatto divieto di nutrirsi di carne suina ed equina, le bestie che possono essere abbattute per essere consumate seguono il rituale ebraico chiamato shechitah. Detta tecnica prevede che la trachea e l’esofago vengano tagliati, così da rendere possibile la totale fuoriuscita del sangue, ritenuto impuro. Passaggio successivo è la bedikah, la carne viene esaminata nel dettaglio, escludendo per il consumo ebraico carni che presentino difetti fisici. Vanno scartate e inibite al consumo parti dell’animale quali il sangue, il grasso e i nervi”.

Per gli ebrei la Sicilia non fu soltanto una terra da attraversare nell’alienazione della diaspora. Fu un luogo speciale. Il ceppo originario giudaico la definisce l’Achèr Isreael, l’altro Israele. Spiega ancora Cerra: “Giovanni di Giovanni, scriveva nel 1748 nel suo L’Ebraismo della Sicilia ricercato ed esposto chegli ebrei riconoscevano la Sicilia come un luogo ove meno stavano esposti alle ingiurie, ed erano più alla portata d’incontrare buona ventura. Perché la clemenza dei sovrani, la situazione dell’isola, la fertilità del paese, la libertà d’abitare fuori del ghetto, la facoltà di possedere stabili, li rendevano così contenti che nulla più, e nulla meglio in qualunque altro paese del mondo”.

Partecipa al dibattito: commenta questo articolo

Segui LiveSicilia sui social


Ricevi le nostre ultime notizie da Google News: clicca su SEGUICI, poi nella nuova schermata clicca sul pulsante con la stella!
SEGUICI