La strage e il sequestro dei pescatori Braccio di ferro con la Libia

La strage e il sequestro |Braccio di ferro con la Libia

Da sin, l'arrivo a Catania nel 2015 delle salme e la recente protesta in Libia dei familiari dei condannati
Per la liberazione dei marittimi chiesta l'estradizione di quattro condannati a Catania per la morte di 49 migranti.

CATANIA – Il sequestro dei marittimi di Mazara Del Vallo da parte dei militari libici, al comando del generale Khalifa Haftar, si incrocia con il processo, celebrato a Catania, sulla Strage di Ferragosto del 2015.

“Rilasciate i libici”

Il generale della Cirenaica avrebbe ordinato ai militari di non rilasciare i pescatori fin quando l’Italia non disporrà l’estradizione di quattro libici in carcere per la morte per soffocamento di 49 migranti durante una traversata. Le salme, cinque anni fa, arrivarono al porto di Catania all’interno di un container frigo trasportato dalla nave Siem Pilot. Un’immagine che fece il giro del mondo.

I libici chiedono il ritorno in patria di quattro dei cinque condannati lo scorso giugno dalla Corte d’Assise d’Appello di Catania, che ha confermato la sentenza di primo grado a 30 anni di reclusione. 

La disperazione a Mazara

A Mazara Del Vallo, intanto, i familiari dei marittimi sono disperati. Sono trascorse infatti due settimane dal sequestro dei due pescherecci “Antartide” e “Medinea” per mano dei militari libici nel tratto di mare a circa 35 miglia a nord di Bengasi. Dalla Farnesina fanno sapere che il rilascio degli ostaggi italiani è una priorità. I 18 pescatori – secondo fonti di Livesicilia – si troverebbero in una località a 15 chilometri ad est di Bengasi. 

I quattro libici

Il caso, con la richiesta di “scambio” degli ostaggi, diventa sempre più complicato. E potrebbe coinvolgere – a questo punto – non solo il Ministero degli Esteri.

I nomi dei quattro libici, carte giudiziarie alla mano, per cui si chiederebbe l’immediata estradizione in Libia sono Tarek Jomaa Laamami, 24 anni, Mohannad Jarkess, 25 anni, Abd Arahman Abd Al Monsiff, 23 anni e Alla F. Hamad Abdelkarim, 23 anni. Ma è sin dalla condanna di secondo grado, arrivata lo scorso giugno, che i diplomatici libici in Italia avrebbero aperto tavoli per il rilascio dei quattro. 

Manifestazione in Libia


Nei giorni scorsi in Libia vi è stata una manifestazione organizzata dai familiari dei quattro libici detenuti in diverse carceri siciliane per chiedere al governo italiano la loro “liberazione”. “Sono calciatori non trafficanti”, si legge nei cartelloni dei manifestanti.

Nel dibattimento è stato infatti documentato che Abd Al Monsif aveva avuto un contratto con la squadra di calcio El Tahady che militava nel campionato di Serie A libico. Tutti quanti, comunque, sarebbero partiti – secondo la loro versione – dalla Libia con il sogno di poter giocare per un club di calcio europeo. 

Le motivazioni della Corte

Le motivazioni della sentenza della Corte d’Assise d’Appello sono state depositate qualche giorno fa. I giudici nelle 88 pagine scrivono che “come è stato correttamente ritenuto dai primi giudicanti, gli imputati, assumendo il ruolo di membri dell’equipaggio incaricato hanno consapevolmente e volontariamente prestato adesione al programma criminoso”.

E ancora: “Il collocamento di circa 100 migranti nella stiva in condizioni disumane ed estreme” avrebbero assicurato “il mantenimento delle posizione con la violenza e quindi” gli imputati avrebbero contribuito “a creare la concreta condizione di pericolo dei migranti”. 

“Atto terroristico”

La ricostruzione accusatoria della Corte non convince il collegio difensivo pronto a presentare ricorso per Cassazione. Ma per l’avvocato Francesco Turrisi, difensore di uno libici di cui sarebbe stato chiesto “lo scambio di ostaggi”, per finire di scontare la pena in Libia, “l’innocenza degli imputati, di cui sono convinto, non ha alcuna rilevanza in questa vicenda.

Prendere in ostaggio dei pescatori, onesti lavoratori, non è solo sbagliato ma è un atto terroristico. È una vergogna a cui lo Stato italiano – afferma il penalista a LiveSicilia – deve rispondere con durezza. La condanna per omicidio non è solo ingiusta ma anche insensata, perché le prove dicono altro. In Italia abbiamo tre gradi di giudizio e la Cassazione potrebbe anche sovvertire il verdetto di secondo grado.

Quello che loro chiedono è un atto – ripete l’avvocato Turrisi – terroristico che non ha nulla a che vedere con il fatto se siano innocenti o colpevoli. È stato travalicato ogni limite”.

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