Il cadavere nella discarica Le verità del nuovo pentito

Il cadavere nella discarica|Le verità del nuovo pentito

Delfo Amarindo parla per la prima volta in un processo. Avrebbe assistito all'omicidio di Santo Gallo, ucciso nel 2002.
CATANIA, L'APPELLO
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CATANIA – Un’udienza può trasformarsi in un teatro dell’orrore. Così è stato il ‘battesimo’ da teste-pentito di Delfo Amarindo, ascoltato davanti alla Corte d’Assise d’Appello di Catania per l’omicidio di Santo Massimo Gallo commesso nel 2002.

L’omicidio nella discarica

Un fatto di sangue che è finito tra le pagine dell’ordinanza Mazzetta Sicula che lo scorso giugno ha fatto scattare le manette ai fratelli Antonello e Salvatore Leonardi, titolari della Sicula Trasporti che gestisce la discarica, e anche al nuovo collaboratore di giustizia accusato di concorso esterno e traffico illecito di rifiuti.

Amarindo sarebbe stato una sorta di ‘mediatore’ con il clan Nardo per i Leonardi. E questa ‘sua vicinanza’ (confermata dallo stesso pentito) con il gruppo mafioso sarebbe stata provata anche dal suo coinvolgimento – come racconta Alfio Ruggeri – nel delitto che sarebbe avvenuto proprio all’interno dell’impianto della Sicula nella notte tra il 22 e il 23 marzo di dodici anni fa.

Un condizionale che Delfo Amarindo ha trasformato in un affermazione. Il pentito avrebbe assistito all’esecuzione mafiosa. 

“Vicino al clan Nardo”

Prima di passare al film dell’orrore, occorre precisare che Amarindo era “vicino al clan Nardo dal 2000. Facevo dei favori – racconta – a Alfio Sambasile che conoscevo”. Delfo ha fatto da testimone alla sorella del boss dei Nardo. 

La notte del delitto

Il pentito, rispondendo alle domande del sostituto pg Antonio Nicastro, ripercorre attimo per attimo quella notte di sangue. “Quella sera – spiega – sono stato chiamato da Fabrizio Iachininoto al cellulare. Ma io ero in discarica, nell’alloggio che avevo a disposizione per la notte, e non ho sentito le chiamate. A quel punto è venuto direttamente nella casetta”.

La voce è flebile. Il collaboratore è in videocollegamento da un sito protetto. Dal monitor si vedono solo le sue spalle. Amarindo e Iachininoto si sarebbero spostati all’ingresso della discarica dove ad attenderli ci sarebbero diverse persone in auto. “Avevano portato un ragazzo e mi hanno detto che lo dovevano uccidere e dovevano lasciarlo lì e dovevo mettere sopra la spazzatura”, dice in udienza.

Chi c’era? Il pg Nicastro vuole cristallizzare ogni ricordo del teste. “C’erano Sebastiano Furnò, Santo Scandurra, Francesco Inzolia e Giuseppe Benvenuto. Il ragazzo aveva la bocca coperta con lo scotch fino al naso. Era una persona giovane d’età”.

“Buttato nella discarica”

Il racconto diventa agghiacciante. “Hanno preso il ragazzo e lo hanno trascinato per settanta metri, lo hanno fatto mettere in ginocchio e gli hanno sparato dei colpi in testa. Io ne ho sentiti due. Poi hanno spinto il corpo nel cucchiaio della motopala, dove ero io. Vicino a me è salito Benvenuto, che è quello che ha sparato”.

Il cadavere sarebbe stato buttato nella discarica e sarebbe stato ricoperto con altra immondizia. Anche la pistola usata per uccidere sarebbe stata gettata tra i rifiuti. “Quando loro se ne sono andati, io sono entrato nella sala dove c’erano i sistemi di videosorveglianza ed ho cancellato un’ora di registrazione, come se si fosse tolta la corrente”.

Cadavere mai ritrovato

Il cadavere di Santo Gallo non è mai stato ritrovato, e i Leonardi non avrebbero mai saputo quanto accaduto quella notte. 

Amarindo non conosce la vittima. Su come avrebbe appreso la sua identità c’è stata una contestazione da parte del pg, perché in un verbale reso a giugno il collaboratore dichiara che glielo avrebbe riferito Sanbasile, in udienza invece racconta che lo avrebbe saputo durante le fasi dell’omicidio. Benvenuto avrebbe gridato più volte che quel ragazzo “doveva morire perché avrebbe ucciso suo zio”. 

Il processo d’appello

Dalla ricostruzione degli inquirenti, dietro quella morte inquietante, ci sarebbe ci sarebbe la guerra tra i Nardo di Lentini e i Campailla di Scordia. L’inchiesta della Dda etnea ha portato alla sbarra (e alla condanna in primo grado) il boss Michele D’Avola, Fabrizio Iachininoto, Paolo Sebastiano Furnò e Francesco Insolia.

A fornire una svolta alcuni anni fa è il collaboratore Alfio Ruggeri, anche lui imputato nel processo d’appello. La difesa vorrebbe riascoltarlo. Il prossimo 13 ottobre la Corte d’Assise d’Appello, presieduta dal giudice Rosario Cuteri, scioglierà la riserva sulla richiesta di esame del pentito.

Prima della chiusura dell’udienza Fabrizio Iachininoto rilascia dichiarazioni spontanee. L’imputato afferma di non aver “mai avuto nulla a che fare con Amarindo”, il quale si sarebbe “inventato tutto”. 

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