Duplice omicidio Botà-Vela: il racconto del pentito Bisconti

Duplice omicidio Bontà-Vela|L’indagine del boss pentito

I verbali di Filippo Bisconti entrano nel processo

PALERMO – In aula ha ribadito ciò che aveva raccontato al sostituto procuratore generale. E così in corte di appello sono stati acquisiti i verbali di Filippo Bisconti.

Le dichiarazioni del capomafia pentito di Belmonte Mezzagno sono entrate nel processo di secondo grado per il duplice omicidio di Vincenzo Bontà e Giuseppe Vela, avvenuto nel marzo 2016 in via Falsomiele a Palermo.

Unica imputata è Adele Velardo, assolta in primo grado, dopo che il marito Carlo Gregoli si è suicidato in carcere.
Il sostituto procuratore generale Maria Grazia Puliatti era andato a interrogare Bisconti lo scorso giugno per due motivi: era cognato di Bontà, ne ha sposato la sorella, e conosce bene le dinamiche mafiose del rione Villagrazia.

“Bontà era mio cognato”

Ed ecco cosa aveva messo a verbale: “Vincenzo Bontà è mio cognato, fratello di mia moglie, mentre Vela era l’operatore che seguiva i lavori per curare il giardino di proprietà di mia moglie e dei congiunti di mia moglie”.
La Corte di assise di primo grado ha ritenuto che è stato il solo Gregoli a fare fuoco, mentre le prove della colpevolezza della moglie, Adele Velardo, sono state ritenute insufficienti per condannarla all’ergastolo.

Secondo il collegio di primo grado la perizia balistica e il racconto di un testimone hanno fatto emergere le responsabilità di Gregoli, mentre la moglie avrebbe assistito al delitto assumendo un “mero comportamento passivo”.

Alla donna veniva contestato il concorso materiale e morale nel delitto. Materiale perché era lei a custodire la chiave della camera blindata dove i coniugi conservavano le armi. Una scelta presa alla luce dei problemi depressivi del marito.

Il possibile movente

I giudici descrissero l’episodio come “insorgenza estemporanea del proposito omicidiario” anche perché non è stato scoperto il movente. Secondo l’avvocato Vanila Amoroso che assiste i familiari di Vela, invece, il movente esisterebbe ed è “l’infamante sospetto diffuso da Bontà nel quartiere in ordine all’allaccio abusivo di acqua” da parte dei coniugi. In un soggetto con problemi psichici quale era Gregoli è ipotizzabile che sia scattato il proposito di vendetta.

La conferma di Bisconti

Sui presunti furti di luce Bisconti ha confermato l’esistenza dei contrasti fra i Gregoli e Bontà: “Quella mattina passavo per caso da via Villagrazia, uscivo da casa di mia madre intorno alle 9, mi fermo in un meccanico e trovo mio cognato Bontà e Vela. Mi disse devo andare da Magliocco (fondo Magliocco è il luogo del delitto), ho capito che era per le vicende di cui ogni tanto mi faceva la lamentela, perché a quanto pare arrivavano a lui delle bollette dell’Enel molto esose per innaffiare l’agrumeto, il giardino”.

Si trattava dei consumi di energia elettrica per attivare le pompe necessarie per innaffiare. Bontà “si lamentava nei confronti di Carlo Gregoli, di sua moglie, lui sospettava di questi… lui si lamentava che la moglie parlasse più del marito. Era molto più aggressiva del marito (in un’altra parte del verbale di lei dice secondo alcuni “era peggio di un maschio”)”. Bontà “faceva di tutto per coglierli sul fatto…”. Ed arrivò la notizia: “… mi chiama l’altro mio cognato Gaetano piangendo… hanno ammazzato Vincenzo… nessuno se l’aspettava, era una persona buonissima di nome e di fatto”.

L’assenza dei parenti

Nel pomeriggio del delitto, ha riferito a giugno Bisconti, “sono uscito con mio cognato Carlo Sorci, marito della sorella di mia moglie, dico scusa andiamo da Vincenzo poverino è da stamattina che è buttato in mezzo alla strada. Ho dovuto litigare con mio cognato perché non ha voluto recarsi assolutamente dove si trovavano i resti di Vincenzo”. Non era il solo: “Ho notato che nessuno dei miei familiari si è recato da Vincenzo buttato in mezzo alla strada, questa cosa mi ha scandalizzato, traumatizzato”.

La paura della matrice mafiosa

Una spiegazione il collaboratore di giustizia se l’è data: “… anche i miei familiari erano traumatizzati, non si sapeva cosa pensare quale fosse il motivo, quale fosse la scintilla di tutto questo, a tarda serata è arrivata la notizia che avevano arrestato i coniugi Gregoli… sono rimasto sbigottito perché Gregoli è cugino di primo grado di Carlo Sorci, mio cognato”.

Bisconti era sorpreso, ma come tutti gli altri “acquietati, il termine non è esatto dire acquietati, però non c’era più la aura che si temeva, che fosse omicidio di mafia o qualcos’altro”. Bisconti volle vederci chiaro: “…. avrei voluto fare di tutto per indagare mi sembrava troppo semplice che avevano trovato questi colpevoli”. Poi si disse “certissimo della loro colpevolezza”, ma allora non era così.

Tante suggestioni

Il suo racconto si fece carico di suggestioni: “Conosco la zona di via Villagrazia… non voglio offendere nessuno ma se ci fosse un vigile urbano ambirebbe ad essere mafioso, è una zona ad alta densità mafiosa e quindi ritengo che il Gregoli e sua moglie, avendo deciso di fare questa azione, non potevano farla se non ci fosse stato dico l’avallo di qualcuno, ma qualcuno che gli avesse detto ‘ma si toglietelo dai piedi”.

L’indagine di Bisconti

Ed è su questo fronte che Bisconti indagò: “Poi ho notato che mia cognata Daniela si è costituita parte civile, io non avrei voluto, perché in quel periodo ragionavo in maniera diversa… le mie cognate si sono avvicinate a Daniela… non ho potuto più portare avanti alcuna forma difensiva nei confronti di mio cognato”.

Bisconti rimase sorpreso dalla scelta della cognata Daniela Bontate, figlia di Giovanni, fratello del boss Stefano Bontate. La famiglia della vittima cerca verità e giustizia e fa ciò che ciascuno dovrebbe fare, costituirsi parte civile.

Bisconti la pensava in maniera diversa: “Ho notato che alcune persone non sono andate a fare visita accompagnate dalla moglie, vedi per esempio Mario Adelfio, il genero di Mario Adelfio si chiama Bontà Paolo, figlio di Bontà Stefano, a sua volta cugino di mio suocero. Non sono venuti gli altri suoi congiunti, l’altro fratello Giovanni, anche lui mafioso, di cui ho parlato… poi ho incontrato i fratelli Adelfio, ho detto ‘ma certo bello rispetto nei miei confronti’, sono impalliditi, hanno fato di tutto poi per non incontrarmi”.

I sospetti del boss

Non era il solo ad avere sospetti: “Poi ho incontrato Enzo Prestifilippo di Crove Verde Giardini, uomo d’onore della famiglia di Croce Verde Giardini, questi ha un figlio Emanuele che è sposato con una sorella di Carlo Gregoli, e mi dicevano ‘sì d’accordo che sono colpevoli marito e moglie ma tu pensi che loro abbiano fatto di testa loro e non ci sia qualcuno che gli ha detto vani avanti che non ti tocca nessuno?’”.

Infine aggiunse alcune “impressioni mie”. Dall’idea che Gregoli “faceva di tutto per avere un’amicizia sempre più consolidata nei miei confronti” al fatto che “ho pensato che loro Adelfio avessero aizzato Gregoli e la moglie a compiere questo omicidio”. E subito dopo che lo dice ci tiene a precisare che “parliamo di impressioni mie”.

La mafia, però, nulla c’entra con il duplice omicidio. Così hanno detto gli investigatori e così è stato scritto nella sentenza di primo grado.


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