Bugiarderie e altro: il vocabolario di Totò Riina - Live Sicilia

Bugiarderie e ‘ladruncolanti’| Il vocabolario di Totò Riina

La "sbirritudine", la venuta "alla scoperta", le "riconoscenze": trattato sul lessico del Capo dei capi.
STORIE DI MAFIA
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Nessuno sa con certezza quanti cadaveri ha seminato lungo la sua strada Totò Riina, il criminale più feroce e sanguinario della storia. Certamente più di mille. Ma c’è chi spinge la contabilità molto al di là, fino al numero record di millecinquecento morti ammazzati. “Al Capone mi fa un baffo”, rideva don Totò, ricordando che in un solo giorno, poche settimane prima di Natale del 1982, i suoi sgherri si erano sbarazzati di quindici cristiani, l’intera “famiglia” di Rosario Riccobono che considerava un miserabile traditore.

Solo a sentire il suo nome, anche oggi che è morto, ci sarebbe da tremare. E invece, volendo, si può anche sorridere, tanti e tali sono stati i suoi strafalcioni linguistici che hanno condito decine e decine di interrogatori nelle pubbliche aule giudiziarie.

I “mesati” dei pentiti

Alla sua prima comparizione nel bunker dell’Ucciardone, dopo l’arresto del gennaio 1993, i numerosissimi cronisti presenti risero a crepapelle quando il capomafia corleonese con il suo incerto blaterare, si mise a contestare le accuse dei pentiti.

“Fanno quello che vogliono e io sono il parafulmine di questi qua. Scaricano tutto su questa persona perché sono più creduti. Parlano di Riina e alzano la pagella. Ci viene facile accusare Salvatore Riina perché così hanno i mesati, più case, più soldi, più villa, più benestare. E allora Riina è mandante, e allora Riina fici questo e Riina fici quello”.

Fu in quell’occasione che il capomafia pronunciò una parola rimasta nella memoria di chi era presente all’udienza: “I pentiti dicono solo un mucchio di “bugiarderie”.

La lezione di grammatica di Totò Riina

Bugiarderie. Sembrò uno sfregio grammaticale, tutti la riportammo nei nostri resoconti, ma il giorno dopo giunse la doccia gelata dei puristi della lingua italiana: bugiarderia è un termine correttissimo, sta per “serie di menzogne” e dunque che andassimo (noi saccenti) a riprendere in mano i libri di scuola media e a rispolverare la sana abitudine di consultare più spesso il vocabolario.

Prendemmo atto della lezione di grammatica impartitaci da Riina. Fu un infortunio che ci obbligò alla prudenza. Non accadde più. In seguito Riina diede spettacolo con una raffica di esternazioni esilaranti che resero estremamente briose tutte le udienze. Come quando sentì il bisogno di rassicurare il figlio Giovanni, confuso tra la folla presente in aula, sulla sua condizione di detenuto: “Stai tranquillo, io me la cavo. Tu pensa sempre che papà è fenomenale. Puoi dire ai tuoi compagni che hai un padre che è un gioiello. Tu lo sai che io non sono normale, non faccio parte delle persone uguali a tutti, io sono estero».

Invitato a chiarire, Riina aggiunse: “Qui in carcere mi portano in braccio. Mi portano sul palmo delle mani. Mi rispettano tutti. Mi rispettano perché sanno che c’è profumo. Io non parlo. Non faccio domande perché la curiosità è l’anticamera della sbirritudine. C’è gente meschina, gente che è nata tra i carabinieri, sono nati tra gli infamoni. Conosco il mondo che c’è fuori, quindi valuto tutto e tutti. E mi so regolare”.

“Un detenuto modello”

E per dimostrare le sue non erano chiacchiere chiamò a testimoniare il direttore del carcere. “Mi ha dichiarato un detenuto modello. Se mi chiedete che cosa vuol dire detenuto modello io glielo dico: io sono uno che mi faccio i fatti miei, io non so niente di nessuno, io sono al di fuori dal mondo, io non vivo sulla terra, io vivo sulla luna. Io se faccio parte di Cosa Nostra o se sono il capo dei capi o il sottocapo dei sottocapi, non sono tenuto a dirlo a nessuno. Io sono per i fatti miei. Io sono Salvatore Riina da Corleone, paese agricolo di campagna sperduto e lasciato là”.

L’attacco ai pentiti era la costante di ogni processo e il boss non faceva nulla per nascondere tutto il suo disprezzo per la categoria. Erano più di quaranta ad accusarlo, ma due più degli altri gli stavano sullo stomaco: Tommaso Buscetta e Gaspare Mutolo.

“Bassa moralità”

A Buscetta glielo disse in faccia: «Io non parlo con chi ha una bassa moralità. Mio nonno è rimasto vedovo a quarant’anni con cinque figli e non ha cercato altre mogli. Mia madre è rimasta vedova a trentasei anni. Al nostro paese, Corleone, viviamo di correttezza morale. Io altre donne non ne voglio. Solo Ninetta».

Con Mutolo ci andò decisamente più pesante. Lo definì “un ladruncolante di giornata che andava a rubare di qua e di là”. E spiegò: “Eravamo compagni di cella, andavamo all’aria, passeggio, poi credo che la mamma di questo Mutolo – se non ricordo male – a quei tempi stava al manicomio. Quindi era una pazza poverina, quindi era un povero diavolo pure lui. Mutolo è quella persona che ogni volta che l’arrestano lo trovano con le mani nel sacco che fa droga, fa sempre droga, Mutolo è un bellissimo droghiere”.

Totò Riina e i Beati Paoli

Ancora con Mutolo, qualche tempo dopo: “Gasparino Gasparino, sai che stai facendo in ultimo? Stai facendo la figura di quello che dice Sciascia. Sciascia lo sai che dice? Tu sei un bello quaquaraqua. E se hai letto I Beati Paoli tu puoi prendere anche il nome di Matteo Lo Vecchio che fu ucciso perché era un traditore. Io parlo del mestiere che faceva quel Lo Vecchio. E tu, Gasparino, fai il Matteo Lo Vecchio. Sei un grandissimo spionaggio».
Strafalcioni a iosa. Ma anche battute di comicità involontaria. Per dimostrare che i pentiti di lui non sapevano niente, Riina si dichiarò disponibile ad essere misurato. Lo chiamavano “il corto” e lui non se la prendeva. Anzi, giocando sulla sua bassa statura cercò di giocare la mossa vincente. «Io sono alto 1,61 nella tessera, misurato l’altro giorno al carcere sono 1,59. Se uno dice di conoscermi e poi sbaglia dieci, quindici o sedici centimetri, queste sono accuse infamanti, tragedianti, accuse fuori dal normale. Quindici centimetri per un uomo è come un metro. Scusasse presidente se mi alzo, ecco quanto è alto Salvatore Riina. Basso, non alto”.
Riina è stato latitante per ventiquattro anni. Un mistero, così come la sua cattura. Più di una volta il boss ha tenuto a preservare il compaesano Bernardo Provenzano da sospetti che ancora resistono. “Per grazie a Dio e per la mia abitudine io potei fare ventiquattro anni il latitante. Un latitante può durare un anno, due anni, non può fare ventiquattro anni il latitante. Io fici ventiquattro anni di latitante, mi fici una famiglia, mi sposai così. Perché facevo il solitario per i fatti miei, io sono sempre stato un solitario. E poi non diciamo latitanza. A me non mi ha mai cercato nessuno, a me non mi ha mai fermato nessuno, a me non mi ha mai detto niente nessuno. Io sono stato venduto ma il paesano nostro queste cose non le fa, non si è mai seduto con gli sbirri, Provenzano non è persona di queste cose. L’unica colpa che ha è che è troppo scrittore».

“Io non sono un politicamente”

E’ chiaro che nei tribunali e nelle corti d’assise si discuteva di fatti gravissimi, omicidi, stragi, ma Riina alleggeriva spesso il clima con sparate esilaranti. Al processo sui delitti politici se ne uscì con battute surreali. “Io non sono un politicamente. In base a La Torre, a Reina e a Mattarella dovete cercare altrove, dovete vedere in alto, non dovete cercare me. E io non volevo pigliare il posto di La Torre o di Reina o di Mattarella. Io non ho dato ordine di uccidere trasversalmente a nessuno perché a me non ha mai fatto male nessuno. Io non ho avuto ingranaggi con queste persone».
Sono stati numerosi gli spunti di polemica con le Procure e quando ha potuto, Totò il corto non ha risparmiato stoccate a nessuno. “Io non mi sono mai incontrato con stu Andreotti. La prego di capirmi, signor procuratore. Non mi ha chiamato mai manco Caselli, ma a lei ci sembra giusto signor procuratore? Non mi chiama per dirmi: ma Riina, ti sei incontrato cu Andreotti? L’hai visto Andreotti? L’hai baciato Andreotti? Mai interrogato. Mai citato. Signor procuratore, questo se lo vuole appuntare? Che poi sarà sicuramente copiato e registrato. E quindi è storia. Mai interrogato. Io solo dovevo dire sì o no. Però non me l’hanno mai domandato. Si è fatto un processo, si è fatto un appello, si è fatto tutto… non esiste. Lei signor procuratore l’ammiro, l’accetto, questa mattina è stato brillante, complimenti, però non si fanno queste cose. Ma Andreotti si baciava con me? Ma che era, lo scemo d’Italia?”.

“Analfabeto ma cervello sveglio”

Certo, ridere dell’altrui ignoranza non è elegante ma Totò Riina, suo e nostro malgrado, è stato un personaggio pubblico. Inevitabili, pertanto, gli sfottò. Ma lui, povero di fondamentali linguistici e ricco di materia grigia, era perfettamente consapevole della sua condizione. Tant’è che un bel giorno mise le mani avanti: “A ora di scuola sono zero. Io sono un povero analfabeto, sono un seconda elementare, ma ho il cervello sveglio, sono più avanzato di un altro. I magistrati mi hanno detto che sono il più intelligente, il più intelligente di tutti”.

In tanti anni di processi il corleonese ha fatto il giro per le aule bunker di tutt’Italia, ripetendo grosso modo sempre la solita litania. Ma quando si parlava della famosa (o famigerata) trattativa Stato-mafia, di servizi segreti, Riina toccava l’apice del fervore. «Mi sento preso in giro dalla mattina alla sera perché faccio diciassette anni che sono in isolamento, sempre in isolamento, area riservata, telecamere nelle stanze, non lo so più che cosa debbo fare e sono poi sempre io il capomafia, io che conta, io che ho la posta controllata, i telecameri nella stanza, nella saletta, nel bagno. Non mi pozzo fare il bidet, non mi pozzo fare la doccia. E allora questo è il momento per dirci: dove io ho fatto ste trattative ccu stu’ Statu? Chi è questo Stato che io ho fatto queste trattative? Ecco perché sono venuto alla scoperta e sono stato io al mio avvocato a dire: faccia una richiesta di essere sentiti. Quindi che cosa ho fatto di male, signor procuratore? Sti’ servizi segreti che cosa facevano? Che cosa hanno fatto? Io non conoscevo Borsellino, non ho mai avuto una contravvenzione fatta da Borsellino. Ma diciamo vero? Brusca ha detto che volevo qualcuno dell’opposizione per la trattativa e che poteva essere Luciano Violante. Violante era un giudice che per me, per me, Riina Salvatore, era un giudice tedesco, io non voglio descrivere lei che è pure magistrato ma deve sapere che Violante è di una tiratura morale, Violante, da non ci credere. E mi fermo lì”.

“Servizi deviati o ansirtati”

Un altro punto caldo, la strage di via D’Amelio. “Chi ha commesso quest’omicidio di Borsellino? Io sono al di fuori di queste riconoscenze, io nella mia vita non ho mai trattato con gente che potessero essere al di fuori di pensarla come me. Se trattavo con una persona la doveva pensare come me dritta per dritta, perché sono una specie di acqua e sapone”. Se io avrebbi conosciuto a uno delle servizi segreti, deviati o ansirtati, io non mi chiamerebbe Salvatore Riina perché facissi parte a questa pentita, a questi signori e a questa deviata, a questo Ciancimino, a questo Spatuzza. Fossi una persona uguale a loro, se io m’avissi iunciuto a uno di questi, io sarebbi una persona uguale a questi. No, questo non è Salvatore Riina. Dovete sapere chi è Salvatore Riina. Salvatore Riina è escluso da tutti questi servizi perché non ce l’ha nella testa, nella mente e nel fisico”.


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