Quel tesoro strappato al boss ma ancora occupato

Quel tesoro strappato al boss|ma ancora occupato

BENI CONFISCATI
Il presidente dell'Antimafia Fava chiede all'agenzia la sospensione del bando.
BENI CONFISCATI
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CATANIA – La gestione dei Beni confiscati presenta, purtroppo, tante lacune che si tramandano di anno in anno. Un patrimonio immobiliare e societario che vale quanto una manovra finanziaria è nelle mani dell’Agenzia nazionale. Ma la ‘macchina’ non appare così efficiente. E i motivi sono diversi: burocratici e funzionali.

Il bando dei beni confiscati

A fine ottobre scadono i termini del bando per l’assegnazione di 1400 beni, di cui questi quasi la metà sono nel territorio siciliano. Molti di questi 700 sono anche nella provincia etnea, territorio dove purtroppo molti boss, anche in giacca e cravatta, si sono arricchiti con affari sporchi e illeciti.

Quadro sconfortante

Da un censimento (e una mappatura) a cui stanno lavorando in tandem l’Arci e i Siciliani Giovani però emerge un quadro sconfortante: “condizioni strutturali pessime, abusi edilizi insanabili, immobili occupati da persone riconducibili a chi ha subito la confisca, terreni difficilmente raggiungibili e inutilizzabili per l’agricoltura in assenza di ingenti investimenti”, si legge in una nota di qualche giorno fa.

Non è finita, perché questa fotografia preoccupante rende ‘zoppo’ il bando in quanto è quasi impossibile garantire i sopralluoghi nei beni. Quello, dunque, che potrebbe rappresentare una grande opportunità e risposta alle lotta alle mafie rischia di tramutarsi in un fallimento. Forse servirebbe un’altra data di scadenza. 

Fava chiede di mettere in stand by il bando

Il presidente della Commissione Regionale Antimafia Claudio Fava, in una lettera inviata al direttore dell’Agenzia il prefetto Bruno Corda e per conoscenza al ministro Luciana Lamorgese, chiede – come riporta oggi La Sicilia –  la sospensione dei termini del bando per i beni allocati in Sicilia in attesa di una verifica sullo stato dei beni e sulla loro effettiva fruibilità”. La Commissione sta lavorando da alcuni mesi ad un’inchiesta ad hoc sulla gestione dei beni confiscati.  

Il terreno introvabile

A Catania, o meglio nel territorio calatino ed etneo, ci sono due casi limite. Uno è a Palagonia, un terreno finito nelle mani dello Stato dopo un sequestro scattato grazie alle indagini del Ros nell’inchiesta Iblis su mafia, politica e imprenditoria. Questo latifondo sarebbe – da quanto emerge dalle audizioni in commissione antimafia da esponenti del terzo settore – addirittura “introvabile”. 

Il tesoro del boss Zuccaro

A Gravina di Catania c’è un complesso di palazzi, garage e anche di una piscina, che è finito nelle mani dello Stato (dopo la confisca della Dia nel 2013, diventata definitiva dopo la decisione della Cassazione) insieme a un tesoro di 30 milioni di euro riconducibile al boss di Cosa nostra Maurizio Zuccaro. Alcune di quelle residenze sarebbero ancora occupate nonostante la Suprema Corte ne abbia certificato la ‘proprietà’ allo Stato.

Nessun quartier generale della mafia in quel compound, solo la prova materiale di dove è finita una fetta dei soldi sporchi del gruppo criminale. Maurizio Zuccaro, cognato di Enzo Santapaola ‘u ranni (figlio di Turi e nipote di Nitto), qualche giorno fa è stato condannato dai giudici ermellini all’ergastolo per l’omicidio di Luigi Ilardo, l’infiltrato ammazzato nel 1996.

Erano gli anni in cui il figlio di “Saro” di San Cocimo voleva accelerare la sua carriera mafiosa ed aveva creato un gruppo di fuoco. Zuccaro, con altre due ergastoli per gli omicidi di Vito Bonanno e Salvatore Vittorio, ha trovato qualche anno fa spazio nelle prime pagine dei giornali per quei video in diretta dal Vittorio Emanuele, dove era ricoverato ai domiciliari, in cui si procurava degli autosalassi per peggiorare i dati delle analisi mediche e quindi evitare la cella. Nell’ultimo periodo è finito nei faldoni dell’inchiesta Zeta, insieme ai due figli Rosario e Filippo. Quest’ultimo è un artista emergente del mondo neomelodico catanese con il nome d’arte Andrea Zeta (da qui il nome del blitz). 

Da questi esempi, è partita la missiva di Fava all’Agenzia Nazionale dei Beni Confiscati in cui chiede una sorta di “stand by” del bando. Un modo per avere il tempo di coprire le ‘carenze’ emerse. Si aspetta, impazienti, risposta.

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