Cimò, l'omicidio senza cadavere: condanna definitiva per Di Grazia - Live Sicilia

Cimò, l’omicidio senza cadavere: condanna definitiva per Di Grazia

Nella foto, Salvatore Di Grazia
La sentenza della Suprema Corte di Cassazione. "Finalmente giustizia", il commento dei nipoti.

CATANIA – Arriva una verità processuale. Ormai definitiva. La suprema Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della difesa e ha quindi reso esecutiva la condanna a 25 anni inflitta a Salvatore Di Grazia, ormai ultraottantenne, accusato di aver ucciso la moglie Mariella Cimò, scomparsa il 25 agosto 2011.

Il giallo di Mariella Cimò

Mariella Cimò, scomparsa nel 2011

Un giallo che è diventato un caso nazionale. Con milioni di italiani che per mesi hanno seguito le fasi delle ricerche vane di Mariella ascoltando le interviste dell’eccentrico consorte a giornali e tv. La procura di Catania, poco tempo dopo, quelle indagini le trasforma in quelle per omicidio. I radar dei carabinieri, sotto il coordinamento del pm Angelo Busacca, si sono immediatamente concentrati sul marito, Salvatore Di Grazia.

I sospetti

Il primo sospetto è emerso dal ritardo della denuncia di oltre dieci giorni. Per l’accusa il delitto sarebbe avvenuto nella casa dei coniugi Di Grazia a San Gregorio di Catania. Il corpo poi sarebbe stato fatto sparire. In quel giardino, dove gli investigatori più volte sono andati con il georadar, Mariella sarebbe stata ammazzata al culmine di una lite per motivi economici e sentimentali. La donna, forse stanca dei tradimenti del marito, avrebbe chiesto a Di Grazia, più volte, di chiudere l’autolavaggio di Aci Sant’Antonio, che sarebbe stato usato come ‘luogo’ per i suoi rendez-vous amorosi. 

Le ricostruzioni della difesa

La difesa ha sempre sostenuto la tesi dell’allontanamento volontario della donna. Dalle telecamere della vicina però si vede Mariella Cimò rientrare a casa ma mai uscirne. Per l’accusa, potrebbe essere stato usato un massello, acquistato nelle ore dell’avvenuta scomparsa, per far sparire il corpo.

L’avvocato Giuseppe Rapisarda ha portato davanti ai giudici di Di Grazia ricostruzioni di percorsi alternativi che avrebbero permesso alla settantenne di lasciare la casa e raggiungere a piedi una fermata dell’autobus.

La sentenza

Sia la Corte d’Assise e la Corte d’Assise d’Appello sono stati a San Gregorio – con due udienze in trasferta – a guardare in prima persona quelle vie che avrebbero permesso a Mariella di fuggire senza passare davanti alla strada principale. Ma non è bastato a convincere i giudici dell’innocenza di Di Grazia. E ora la Suprema Corte di Cassazione mette la parola fine a una lunga storia giudiziaria che – per tanti motivi – diventerà un “case study” per i processi di omicidio senza un cadavere.

Il commento dei nipoti

“Giustizia è stata fatta”. Con queste semplici parole i nipoti di Mariella, parti civili nel processo, hanno commentato il verdetto della Cassazione. Ma nel loro cuore c’è ancora la speranza di poter trovare un giorno il corpo della zia. Così da potergli dire, finalmente, addio. 

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