Padre Notari: "Coronavirus, ora dobbiamo cambiare tutto"

“Covid, dobbiamo cambiare tutto e ai giovani vorrei dire…”

L'intervista con don Gianni Notari, gesuita con uno sterminato curriculum. Ecco cosa ci dice della pandemia.
L'INTERVISTA CON PADRE GIANNI NOTARI
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7 min di lettura

Avvertenza preliminare: quando un celebre padre gesuita come don Gianni Notari, teologo, sociologo, pedagogo, professore (per chi volesse srotolare il papiro del suo sterminato curriculum, il materiale completo è sul web) parla di cose fondamentali, non si limita a fare quattro chiacchiere, ma sciorina la massima competenza con una smisurata estensione di pensiero. Ecco perché questa intervista sul Coronavirus a qualcuno parrà lunga. Ma non si poteva accorciare nemmeno di un centimetro. Voi togliereste un centimetro a ciò che si dimostra profondo e necessario?

Padre Gianni, che momento è quello che stiamo passando, se vogliamo inquadrarlo nella storia, visto che il suo posto sarà questo?
“Stiamo vivendo pagine che saranno nei libri di storia, sì. È un evento che fino alla fine dell’anno scorso non avremo mai pensato potesse succederci, che ha sconvolto la nostra quotidianità, il nostro modo di vivere le relazioni, la nostra socialità. Nel giro di poche settimane siamo stati travolti dalla valanga dei contagi. È impressionante registrare il numero dei casi oggi nel mondo. Non è la prima pandemia che affligge l’uomo ma è la prima in un epoca globalizzata, un’epoca di connessioni, in cui le persone si spostano e portano il virus con sé con una velocità ed un’estensione prima sconosciute. Ma è anche la prima in un’epoca di progresso scientifico e tecnologico. Questo pone degli interrogativi sul rapporto fra uomo e natura e ci dovrebbe spingere ad essere più accorti verso il nostro pianeta e la salvaguardia dei suoi equilibri”.

Ci sono persone che negano il Coronavirus. Che pensano che sia un complotto dei ‘poteri forti’. Che non guardano in faccia la realtà dei numeri e dei casi concreti. Perché accade? Cos’è il negazionismo?
“È la crisi del principio di realtà innanzitutto: come negare dinanzi all’immagine dell’esercito che porta via le bare da Bergamo o anche davanti alla mera evidenza dei dati ISTAT sull’incremento dei decessi nei periodi di marzo-aprile? Si tratta probabilmente delle conseguenze di una cattiva informazione che circola soprattutto nei social e che fa presa su alcuni soggetti; complice, temo, anche alcune mirate strategie comunicative e la mancanza in molti dei necessari ‘strumenti’ culturali. Per capire questo dobbiamo fare però un passo indietro…”.

Facciamolo.
“… E accennare al clima culturale della nostra epoca caratterizzato dall’individualismo, dalla frammentazione, dalla semplificazione populista della complessità del reale. Ma anche dalle strumentalizzazione delle relazioni e soprattutto dalla mancanza di responsabilità civica. Credo sia necessario interrogarci da una parte sul rapporto fra democrazia e libertà cercando di educare alla responsabilità”.

Come?
“Si deve riflettere anche sulla comunicazione che si è fatta. Nei mesi scorsi credo che sarebbe stato più opportuno un messaggio del tipo ‘riprendiamo le nostre attività, andiamo in vacanza, ma con la consapevolezza che il virus esiste e impone l’adozione di alcune regole comportamentali che devono entrare nella nostra quotidianità’. Invece si è diffuso un messaggio per cui il virus è morto e liberi tutti. Prima l’economia etc. Ciò genera confusione”.

Ci sono anche persone molto arrabbiate, per il senso di sgomento che provano e perché tutte le certezze, da quelle sanitarie a quelle economiche, sono state scompaginate dal vento impetuoso del Covid. Dobbiamo temere questa rabbia?
“Sicuramente dobbiamo ascoltarla. A marzo c’era paura e rassegnazione davanti a un evento devastante e inatteso. Le persone hanno fatto enormi sacrifici. Oggi c’è rabbia perché ci si trova dinanzi a un sistema politico e sanitario ancora impreparato, che ha perso questi mesi in discussioni sterili e ambigue senza approntare un sistema di tracciamento e di tamponi efficace. Un governo litigioso che spesso vende fumo e illusione. Le persone vivono, per questo, un’assenza di riferimenti, in cui le scelte economiche sembrano più dettate dalle logiche del grande capitale finanziario”.

C’è anche chi non rispetta le regole o lo fa soltanto se costretto, quando si tratta di norme pensate per la salute di tutti. Perché accade?
“Per quello che dicevamo. Scarsa responsabilità per cui non ci si interessa delle conseguenze del proprio comportamento per l’altro e per la società. L’esito drammatico del nichilismo contemporaneo. Ricordo che questa estate si parlava del diritto dei giovani a divertirsi, ad andare in discoteca. Ma siamo sicuri che sia questo il messaggio da dare? Divertitevi e fregatevene se con il vostro comportamento mettete a repentaglio la vita degli altri, delle persone a voi care? La colpa ovviamente non è dei giovani ma di chi li usa e li tratta solamente come consumatori: ‘Venite, divertitevi e fate girare l’economia’. È stato questo il messaggio martellante e deresponsabilizzante”.

Le andrebbe di dire qualcosa ai giovani?
“Sentitevi parte di un insieme! La scarsa attenzione alla fragilità degli altri genera una cultura di morte”.

E ai più vecchi?
“Non lasciatevi paralizzare dalla paura. Vi accompagni il binomio vigilanza e cura: vigilanza sulle possibili occasioni di contagio. Cura della propria persona senza cadere nello scoraggiamento”.

Qual è l’importanza del ruolo di un sacerdote oggi?
“Sarebbe bello se fossimo diffusori di un nuovo contagio: il contagio dell’amore, della solidarietà e della fratellanza. La strada della carità tracciata dalla finale del Vangelo di Matteo. Questo mondo malato ha bisogno sempre più di persone che si chinano sulle sofferenze del nostro tempo e trasmettono il desiderio di non permettere al fallimento di dire l’ultima parola sulla vita”.

Questa esperienza ci sta segnando e ci mette al cospetto di domande di senso non più rimandabili sul significato della sofferenza e sulla nostra stessa fragilità. Quali sono le risposte più giuste, secondo lei?
“Le immagini delle bare di Bergamo credo siano nella memoria di ciascuno di noi. Anche se poi esorcizziamo la sofferenza per andare avanti. Ci facevamo forza con le retoriche del ‘ne usciremo migliori’ per poi tornare agli egoismi della quotidianità. Pensiamo alle volte in cui si diceva: ‘ma tanto colpisce i vecchi e i malati. Sarebbero morti comunque’. La risposta che dovremmo dare riguarda il nostro modo di concepire la vita congedandoci da un uso strumentale della persona a vantaggio del rispetto e della solidarietà”.

Soffrono di più, come sempre, i più deboli, gli anziani, chi sta male, i poveri… Che lezione possiamo trarre da questa evidenza dei fatti?
“Spero che questa esperienza ci faccia comprendere che il grande malato è il nostro sistema sanitario, vittima di anni di tagli. Sento spesso racconti di persone che non hanno i soldi per fare prevenzione e curare la propria salute. Sento racconti di solitudine, soprattutto da parte degli anziani. Per quanto riguarda il Covid, una fascia della popolazione che vive nella precarietà economica ha visto venir meno ogni fonte di reddito. Per loro il Covid è un rischio ma la fame una certezza. Poi nasce la rabbia che dicevamo prima”.

Quale è dunque il nodo?
“Il grande problema credo sia un sistema che non sostiene la fragilità ma la espelle. La fragilità è vista come ‘maledizione’ e non come conseguenza di un sistema che tratta le persone come rifiuti e le inquadra nella logica di un meccanismo di consumo. La lezione è che ci salviamo se stiamo uniti. I più fragili hanno diritto a una vita piena in direzione di un’etica della solidarietà. Dobbiamo decidere un cambiamento di rotta”.

Non le chiedo se siamo o saremo migliori o peggiori, è una domanda che non ha senso se moltiplicata per tutte le persone, ognuna con la sua individualità. Le chiedo però questo: da dove dovremo ricominciare a ricostruire quando la tempesta sarà finalmente passata?
“Dobbiamo puntare sulla individuazione di quelle forme del ben vivere sostenute dalle intuizioni di quanti si impegnano per la costruzione di un mondo migliore. Non possiamo più permettere che il grande capitale finanziario detti le coordinate dell’agire. Pensiamo piuttosto a chi sta elaborando modelli innovativi nella prospettiva ecologica e della cura della casa comune. La sfida è la salvaguardia dell’ecosistema”.

Potremo ricominciare?
“Si va sempre avanti. Con le consapevolezze maturate in questo tempo devastante dovremmo provare ad andare in direzione di una ricerca di modelli alternativi di esistenza”.


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