Quel confronto tra Calò e Mannoia, un pezzo di teatro in aula - Live Sicilia

Quel confronto tra Calò e Mannoia, un pezzo di teatro in aula

Un incredibile scambio di squisitezze, di cortesie, di parole gentili.
STORIE DI MAFIA
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Chi ha avuto la fortuna di assistere ai due confronti tra Pippo Calò e Tommaso Buscetta (il primo nel 1986 nell’aula bunker dell’Ucciardone, nella foto, il secondo nel 1994 a Rebibbia) ricorderà divertito due pezzi di teatro rimasti nella storia giudiziaria come momenti esilaranti nonostante il tragico sottofondo di delitti e tragedie. Fu un continuo alternarsi di insulti, concluso dalla memorabile battuta finale di Calò: “Mi aspettavo il rogito del leone, ho sentito lo squittìo del topo”.

Analogo confronto, sempre nel 1994 e sempre a Rebibbia, si svolse tra Calò e un altro pentito di alto rango, quel Francesco Marino Mannoia che i magistrati definivano “oro colato” per l’attendibilità delle sue rivelazioni. Anche questo spezzone di storia giudiziaria rimane indimenticabile, ma per motivi opposti: fu un incredibile scambio di squisitezze, di cortesie, di parole gentili. Rivediamo la scena, mentre si alza il sipario.

Marino Mannoia saluta: “Buongiorno”. Pippo Calò risponde: “Buongiorno a lei”. Compìti e ossequiosi, il pentito e il boss accusato siedono di fronte per un inedito faccia a faccia. Si temono sciabolate e invece sono colpi di fioretto. Un pizzico di pepe arriva più tardi ma, è solo un accenno. Il tono resta soft per tutta la durata del confronto.

Calò: “Capisco che dopo le disgrazie Mannoia se la prende con tutti, anche con me, ma io sono davvero dispiaciuto per la morte di suo fratello Agostino”.

Mannoia: “Io le credo. A prescindere dai delitti, dai traffici, parliamo sinceramente. Io l’ho conosciuto venti anni fa. Ho conosciuto un galantuomo, una persona perbene. Io l’ho rispettato e sono sicuro che ha provato dolore per l’uccisione dei miei familiari. Lei non è un mafioso sanguinario e io ancora mi chiedo come mai non si è pentito. Io vedo una persona sana e di buoni principi nonostante in tutti questi anni è andato dietro a quelle bestie, i corleonesi, Totò Riina”.

Calò: “Se lei continua… mi coinvolge… Io desidero chiarire…”.

Mannoia: “Ci siamo conosciuti all’Ucciardone. Buongiorno e buonasera. Poi lei mi chiese di interessarmi per una sentenza con un giudice della Cassazione, quello di Bagheria, Aiello”.

Calò: “Mi scusi, mi scusi…”.

Mannoia: “Poi lei mi disse che mio fratello Agostino mi doveva parlare, forse sapeva che dovevano ammazzarlo e allora rinunciò. Mi disse lasci stare suo fratello, me la vedo io con Carnevale”.

Calò: “Si ricorda quando mi successe la disgrazia di essere condannato all’ergastolo per la strage sul treno 904? Venne da me a dirmi che era dispiaciuto”.

Mannoia: “Vero, ma lei sa che nel nostro mondo è una manifestazione d’affetto rappresentare il dispiacere a uno che è stato condannato, anche se sa che ha commesso il reato. Prendiamo l’omicidio del capitano Basile. Io dicevo a Puccio, che era uno dei responsabili, mi dispiace di questo ergastolo, ma sapevo che era colpevole”.

“Calò: “Lei mi ritiene il colpevole di quella strage?”.

Mannoia: “Io non so se è colpevole, non mi chieda queste cose, non lo so”.

Calò: “Allora lei crede che possa aver fatto questo?”.

Mannoia: “La prego dottor Calò, ehm… signor Calò… mi ha colpito il fatto che Pietro Lo Iacono, suo compare, non mi ha mai detto che lei è innocente. Se io avessi qui Totò Riina gli parlerei in altri termini, in termini di bestialità. Con lei non me la sento perché in fin dei conti è stato una persona perbene”.

Calò: “Insomma mi sta accusando di un omicidio?”.

Mannoia: “I nodi vengono al pettine e purtroppo lei non sta dicendo la verità”.

Calò: “Io non sono falso”.

Mannoia: “No, non è sincero, cerchi di migliorare”.

Calò: “Meglio di come sono non potrei essere”.

Mannoia: “Lei era una persona a modo, seria. Purtroppo, non lo so perché…”.

“Calò: “La devo ringraziare, la ringrazio, ma dobbiamo parlare dell’omicidio Lallicata. Io avevo una macelleria in via Palmerino, lavoravo mattina e sera…”.

Mannoia: “Si svegli, troppo sangue c’è stato troppe cose brutte sono successe”.

Calò: “Lo so, lo so, ma io…”.

Mannoia: “Troppi lutti, troppe sofferenze. Questa era Cosa Nostra? Perché è cambiato tutto, perché avete rovinato tutto andando dietro a dei lazzaroni assassini?”.

Calò: “Marino Mannoia, per cortesia lei ha fatto una scelta, io non la giudico”.

Mannoia: “La faccia pure lei”.

Calò: “Lasci stare, io non ho niente di cui pentirmi”.

Mannoia: “Purtroppo non vi potete neanche pentire nella situazione in cui siete. Non siete soldati. Lei è stato in commissione…”.

Calò: “Quando uno ha fatto un’azione cattiva se ne va in chiesa in ginocchio davanti al Signore e dice io mi pento”.

Mannoia: “E lei si penta, si penta”.

Calò: “Signor Mannoia, lei non sa niente, ripete quello che dice Buscetta e mi ha inserito in questa fantomatica commissione. Se esiste o no non mi interessa e non c’è niente da fare”.

Mannoia: “Lei ha strangolato Lallicata con le sue mani e ha fatto ammazzare altri nella nostra borgata per fare un favore a Bontade”.

Calò: “Lei era presente?”.

Mannoia: “Lei ha portato il cadavere”.

Calò: “Un giorno capirà”.

Mannoia: “Il vero giorno sarà quando ci incontreremo con Dio”.

Calò: “Io preferisco morire in carcere anziché accusare innocenti”.

Fine del confronto.

Calò si alza per tornare nella gabbia e ringrazia Mannoia.

Mannoia lo squadra: “La trovo dimagrito”.

Calò replica: “Non mangio per tenermi in forma”.

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