Buste paga 'leggere' al supermarket: "sindacalisti infedeli" nei guai - Live Sicilia

Buste paga ‘leggere’ al supermarket: “sindacalisti infedeli” nei guai

Sei misure cautelari disposte dal gip

TRAPANI – Nelle maglie dell’indagine sono finiti anche due sindacalisti, oltre ai due amministratori e a due dirigenti di una nota società palermitana proprietaria di un supermercato Conad nella città di Trapani. L’operazione condotta dalle Fiamme Gialle del gruppo di Trapani è stata denominata “A shot of money”, quasi a parafrasare il film cult “Per un pugno di dollari”. Ma non era proprio “un pugno” il denaro che i finanzieri, coordinati dalla Procura della Repubblica di Trapani, hanno ritenuto frutto di condotte illecite perpetrate soprattutto ai danni dei dipendenti: il sequestro preventivo ammonta infatti a mezzo milione di euro.

Le indagini

L’applicazione delle misure cautelari personali interdittive, cioè il divieto temporaneo “di esercitare attività imprenditoriale o uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese e la professione di conciliatore sindacale”, è stata emessa nei confronti di due amministratori, due dirigenti di una nota società palermitana proprietaria del supermercato e di due sindacalisti i quali, secondo quanto emerso dalle indagini, avrebbero avallato la condotta illecita dei due amministratori e dei due dirigenti a danno dei lavoratori. Il sequestro preventivo di circa mezzo milione di euro viene, infatti, ritenuto profitto illecito dei reati di estorsione e autoriciclaggio. La scintilla che ha fatto scattare l’operazione “A shot of money” è stato un controllo in materia contributiva e previdenziale disposto nei confronti del supermercato trapanese con marchio CONAD. Le fiamme gialle, nel corso dei controlli esperiti, hanno raccolto diversi elementi indiziari che prefiguravano condotte illecite e penalmente rilevanti.

Le intercettazioni

La Guardia di Finanza, in pratica, s’è trovata a dover comprendere determinate operazioni che portavano all’imposizione di prestazioni lavorative, non retribuite, notevolmente difformi da quanto previsto dal contratto di lavoro. Tutto ciò ha richiesto l’ausilio di intercettazioni telefoniche ed ambientali che hanno consentito agli inquirenti di acquisire corposa documentazione utile a ricostruire i reali rapporti di lavoro che intercorrevano tra i dipendenti e il datore di lavoro, nonché a individuare il ruolo assunto dai sindacalisti. In pratica, tutta l’attività illecita di arricchimento indebito ruotava attorno ai presunti ricatti e alle presunte ritorsioni che i due dirigenti e i due amministratori del supermercato, con l’ausilio di due sindacalisti verosimilmente compiacenti (stando alle risultanze investigative), facevano nei confronti di alcuni dipendenti. Le Fiamme Gialle certificano che “la complessa attività investigativa ha permesso di rilevare come gli indagati, approfittando della situazione del mercato del lavoro a loro favorevole, costringevano numerosi lavoratori, con la minaccia implicita del licenziamento e della mancata riassunzione, ad accettare la corresponsione di trattamenti retributivi deteriori e non adeguati alle prestazioni effettuate, con la sottoscrizione di buste paga attestanti il pagamento di somme inferiori rispetto a quelle che avrebbero dovuto ricevere per l’attività effettivamente svolta, nonché a presentare dimissioni indotte”.

Una ‘strategia del terrore’

Le indagini, in pratica, avrebbero permesso di accertare che le costrizioni a danno dei dipendenti fossero state favorite e portate a compimento grazie alla compiacenza di due assistenti sindacali che, omettendo ogni tipo di assistenza in favore dei lavoratori, si sarebbero limitati a far firmare agli stessi le transazioni pervenute dal rappresentante legale della società palermitana (nell’esclusivo interesse della stessa) nonché a far sottoscrivere loro verbali di conciliazione in cui i dipendenti rinunciavano a tutte le legittime spettanze ed ai diritti acquisiti (ferie, straordinario, permessi). Una vera e propria strategia del terrore alla quale sarebbero stati sottoposti i dipendenti che dovevano sottostare, così come richiesto dal datore di lavoro, alle imposizioni della ditta causa la perdita del posto di lavoro: erano costretti a presentare dimissioni con la giustificazione che sarebbero stati riassunti con condizioni contrattuali migliori (stipendi più alti, orari contrattualizzati) e, quindi, invitati a rivolgersi al sindacato dove, infine, andavano a firmare “fittizie procedure conciliative”, come la sottoscrizione di verbali di conciliazione ad esclusivo vantaggio economico del datore di lavoro da parte dei dipendenti che rinunciavano a quanto loro dovuto.

La paura di perdere il posto di lavoro

E tutto ciò per la paura di perdere il posto di lavoro. I militari della GdF mettono in evidenza il ruolo dei due sindacalisti nella redazione dei verbali di conciliazione. Questi non sarebbero stati “conformi” alla finalità di assistenza e tutela del lavoratore ma pilotati a favore della società dietro, così dimostrerebbero le indagini, corresponsione di laute retribuzioni per ogni procedura conciliativa portata a termine. Tutto ciò avrebbe permesso alla società di conseguire un rilevante profitto illecito, pari a circa mezzo milione di euro, derivante dalla mancata corresponsione delle retribuzioni effettivamente dovute ai lavoratori. Denaro che si presume venisse reimpiegato nel circuito aziendale, consentendo, così, alla società di disporre di una maggiore liquidità e di essere più competitiva nel mercato di riferimento.


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