Nuovo pentito a Porta Nuova, Geraci racconta i segreti dei clan

Nuovo pentito a Porta Nuova, Geraci racconta i segreti dei clan

È stato arrestato a settembre dopo un periodo di latitanza

PALERMO – C’è un nuovo pentito a Porta Nuova. Alfredo Geraci, 41 anni, palermitano accusato di associazione mafiosa, ha deciso di collaborare con i pubblici ministeri di Palermo. Ha già riempito alcuni verbali resi al pm Francesca Mazzocco, accompagnato dal suo nuovo legale, l’avvocato Gloria Lupo.

Geraci è stato arrestato a fine settembre. Era latitante dal 24 luglio quando la Corte d’Appello aveva disposto la custodia cautelare in carcere. Gli agenti lo hanno trovato in un appartamento ad Altofonte. È accusato di fare parte della famiglia di Porta Nuova. Il suo nome saltò fuori già nell’inchiesta ‘Alexander’, che nel 2013 portò al processo di 30 persone

Geraci è stato uno degli uomini più fidati del reggente del mandamento Alessandro D’Ambrogio, con l’incarico di gestire gli affari sporchi a Ballarò. Il pizzo lo imponevano a tappeto. Bussavano alla porta di tutti i negozianti, tranne “da quelli con l’adesivo”, e cioè i commercianti che aderivano ad Addiopizzo.

Il picchiatore Danilo Gravagna aveva l’ordine di tenersi alla larga dai commercianti iscritti ad Addiopizzo che manifestavano il loro ‘no al racket’ esponendo un adesivo divenuto negli anni il tratto distintivo del comitato. “Da quelli non andavano proprio – spiegò Gravagna rispondendo alle domande di uno dei legali del Comitato, l’avvocato Valerio D’Antoni – perché era un problema per noi”.

Un episodio fotografa meglio di altri il ruolo di peso di Geraci.
Qualche anno fa Alessandro Bronte, uomo di fiducia nella famiglia lo presti per la droga, era rimasto vittima di un pestaggio. Soffiavano venti di guerra su Ballarò. La sua gestione, in coabitazione con Salvatore Mulè, aveva creato inimicizie. E così Mulè rischiò di essere ammazzato, mentre il secondo fu pestato a sangue, nonostante dietro la loro scalata ci fosse la regia, dicono gli investigatori, di Tommaso Lo Presti.

La sera del 16 ottobre 2014, quindici minuti dopo le venti, giunse una telefonata al 113. La chiamata partiva da una cabina di via Armando Diaz, nel rione Brancaccio. “… domani mattina devono ammazzare Salvo Mulè del Ballarò…”, diceva una voce maschile. Mulè è uno dei 38 fermati del blitz Panta Rei, viene considerato il capo della famiglia di Palermo centro. I carabinieri lo convocarono e lo misero in guardia. Pericolo scampato. Mulè non si accontentò. Qualche giorno dopo i carabinieri lo seguirono mentre incontrava il reggente del mandamento, Paolo Calcagno, in un pub.

Era stato Bronte a riferire a Teresa Marino, moglie di Lo Presti, delle botte subite. Le disse che aveva chiesto a Giuseppe Calcagno, allora reggente del mandamento, di appagare la sua sete di vendetta nei confronti di Alfredo Geraci e Giovanni Rao che riteneva responsabili del pestaggio: “… gli ho detto, tu vuoi che io devo lavorare per guadagnare soldi? dice, gli ho detto… e mi fa dice ‘si’… gli ho detto, va bene allora tu mi devi portare a Giovanni e Alfredo, dice ‘no’ dice… gli ho detto.. mi hai detto no per portarmi due drogati figuriamoci per le cose più grosse… gli ho detto, quando tu mi porti a loro qua noi altri possiamo fare l’affare”.

Calcagno, dunque, si era rifiutato di punire gli autori del pestaggio.
ora Geraci si è pentito e potrà fare luce su questo episodio ma anche su altri punto a cominciare dagli omicidi che anno scorso il mandamento di Porta Nuova dove sono stati ammazzati Giuseppe Di Giacomo e Giuseppe Dainotti.

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