'Angela da Mondello', i balletti e la banalità del banale

‘Angela da Mondello’, i balletti e la banalità del banale

Tutto è nato da uno slogan sulla spiaggia. Ma saremo ricordati per altro
COVIDDI E DINTORNI
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4 min di lettura

Le ultime notizie sui balletti, sulle ‘imprese’ e sulle disavventure della nota ‘Angela da Mondello’ ci costringono al paradosso.
Non possiamo non guardare, in un tempo in cui l’effimero seduce l’anima di tutti. Non possiamo non accorgerci, con sgomento, di noi stessi, mentre stiamo guardando, immersi nella banalità del banale. Un giorno, quando si studieranno gli effetti della pandemia, sarà impossibile per i posteri credere che, tra una mascherina e un distanziamento, abbiamo trovato l’occasione di occuparci di un dimenticabile ritornello negazionista con un termine (‘Coviddi’) che nemmeno esiste. Nessuno ci crederà, eppure è accaduto. E questo darà già la misura di tutto. Allora perché scriverne ancora? Non è una contraddizione? Forse, ma è anche una segnaletica dello sprofondo, un avvertimento ai lettori che verranno.
Angela da Mondello svela la réclame del nulla: ci riferiamo al personaggio, non alla persona in carne e ossa, ché restare umani significa avere comunque rispetto. Cioè, narriamo di quel simbolo, sorto su una spiaggia e rilanciato da un senso dello spettacolo che sfrutta il grottesco, in alternanza con una finta compassione e con una indignazione di cartapesta, per essere servito al lato peggiore degli spettatori. Solo che il grottesco, quando simbolicamente nacque, poteva anche provocare un po’ di soffice commiserazione in chi seguiva le cose siciliane e non si confrontava con gli squilli pandemici del Nord. Adesso, no. Adesso la catastrofe è nazionale, diffusa, evidente. Ecco perché la persistenza dello spettacolino, con il suo codazzo appiccicato addosso, ha assunto, nel lutto dei morti vecchi e nuovi e nella nobiltà degli sforzi eroici che si compiono negli ospedali, la fisionomia dell’insopportabile.

Le due foto messe accanto

Davide Faraone, senatore palermitano di ‘Italia Viva’, sul suo profilo facebook, ha realizzato un accostamento duro come un cazzotto alla bocca dello stomaco, che spinge a riflettere.
Due foto in un’unica immagine e un testo. Eccolo: “A sinistra, una che i media hanno fatto diventare purtroppo una star. Perché è cosi. Purtroppo. È scienza. I media creano i miti e poi questi si adeguano.In questo caso il mito, la star del web, l’influencer contro cui nessun vaccino è efficace, è tale Angela da Mondello. La conoscete. Quella di “Non ce n’è coviddi” (…). A destra, e mi spiace metterle a fianco, Chiara. Aveva solo 21 anni. È morta di Covid. Venti giorni ha combattuto, non per lei. Per non lasciare solo il suo piccolo di 13 mesi. La giovanissima mamma del Torinese non ce l’ha fatta. Ricordatelo, aveva solo 21 anni. E il Covid l’ha uccisa. Perché il Covid non conosce rispetto”.
Ecco il succo di un più ampio post che ci induce a ragionare, non tanto sulla connessione direttamente inesistente fra due persone sideralmente distanti, che più lontane non potrebbero essere, ma sul legame fra i comportamenti e il dolore. A prescindere dal caso in specie, quanti si pongono il problema? Quanti, nelle loro piccole imprese quotidiane, sanno saggiamente annotare la relazione che intercorre tra le scelte individuali – se sto attento, se proteggo e mi proteggo, se sono responsabile o non – e il respiro difficile nelle corsie dei reparti? Quanti hanno davvero compreso che la prudenza di uno è la salvezza di tutti? Quanti dosano le frasi e gli slogan e aiutano nella comprensione, piuttosto che dissipare la nostra umanità nell’esaltazione di un mondo libero che si dimostra soprattutto egoista?

I negazionisti e altre storie

Comunque, ‘Nocenecoviddi’ è il lato balneare del negazionismo, perché c’è poi un negazionismo truce, viscerale. Che accusa i giornalisti di ‘terrorismo mediatico’. Che, semplicemente, perfino quando viene mostrato, nega lo sconquasso del virus, declassandolo a messinscena (perché? Di chi?). Che commenta con la faccina sprezzante le file delle ambulanze davanti agli ospedali. E che urla: ancora con il Covid, basta con questa storia!, senza sapere come sarebbe gratificante, per chi vive di comunicazione, narrare di Heidi che conduce le caprette al pascolo. Purtroppo, non si può: intanto che la paura rivela la sua origine democratica, facendo letteralmente paura a tutti, pure a a coloro che negano e confermano, negando l’innegabile, quanto sia in fondo corretta la loro percezione della realtà.
Per fortuna abbiamo anche altre storie: di coraggio, di volontà e di forza che un po’ redimono un tempo consacrato alla cecità. E ci fanno sperare i buoni protagonisti del frangente – quelli che si prendono cura di qualcuno – che non saremo ricordati soltanto per la banalità del banale. E che qualcosa di noi, qualcosa di meglio di uno slogan, resterà.


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