Mutilato e bruciato, la "legge del taglione" dei boss: due ergastoli - Live Sicilia

Mutilato e bruciato, la “legge del taglione” dei boss: due ergastoli

Due imputati sarebbero i colpevoli di un macabro delitto commesso a Misilmeri nel 2013

PALERMO – Mutilato e bruciato. Così fu assassinato Massimiliano Milazzo ritrovato, nel giugno 2013, nelle campagne di Misilmeri. Aveva 25 anni. I colpevoli sarebbero Pasquale Merendino e Giuseppe Correnti condannati all’ergastolo dalla Corte di assise di appello di Palermo (presieduta da Angelo Pellino, a latere Vittorio Anania) che ha confermato il verdetto di primo grado. L’accusa era rappresentata dal sostituto procuratore generale Carlo Marzella.

Quella di Milazzo è una delle vicende più macabre degli ultimi anni. Cosa nostra, secondo l’accusa, avrebbe infierito sulla vittima applicando la “legge del taglione”. Milazzo sarebbe stato punito perché non aveva rispettato le regole del clan. Con la sua condanna a morte sarebbe stato inviato un segnale a tutti coloro che non si piegavano al volere del più forte. Carabinieri e pubblici ministeri hanno messo insieme una sfilza di indizi. È stato necessario avvalersi della competenza di chi conosce il linguaggio dei sordomuti per decifrare gesti e labiale. Merendino è fratello di Pietro, personaggio di spicco della cosca di Misilmeri, già condannato per mafia. Correnti è figlio di Sebastiano, indiziato mafioso ucciso nel 1988 in un agguato nelle campagne del paese.

Il 27 giugno 2013 Milazzo usciva di casa per andare a recuperare la macchina in officina. La denuncia di scomparsa presentata dalla moglie diede il via alle indagini nel quartiere San Giuseppe dove i Merendino erano titolari di un panificio. Alcuni raccontarono degli screzi fra Milazzo e gli stessi Merendino, che non avrebbero gradito né il suo lavoro – faceva lo spacciatore di hashish – né i suoi metodi. Una volta richiamato all’ordine e invitato ad allontanarsi, la vittima avrebbe risposto che altri e non lui dovevano andare via. E poi c’erano alcuni furti di cemento non autorizzati che venivano contestati allo stesso Milazzo. Insomma, dal suo arrivo nel quartiere, datato 2011, Milazzo avrebbe creato parecchi malumori. In tanti, fra i residenti, si sarebbero rivolti ai Merendino per ristabilire l’ordine. E Merendino con l’aiuto di Correnti avrebbe messo in atto il “piano” di morte.

Gli ultimi macabri dettagli sul delitto li ha raccontati il collaboratore di giustizia Andrea Lombardo della famiglia mafiosa di Altavilla Milicia. Raccontò delle confidenze ricevute in carcere da Giuseppe Vasta, considerato il capomafia di Misilmeri.

“Vasta ne parlava come se ne fosse effettivamente a conoscenza – disse Lombardo – ed era sicuro che gli esecutori materiali erano Correnti e Merendino Pasquale… Correnti era stato sciocco in occasione dell’omicidio Milazzo. Nel senso che decise di partecipare per compiacere Pietro Merendino e che comunque non adottò tutte le sufficienti precauzioni”. Sul conto di Correnti aggiungeva che “pur essendo vicino alla famiglia Merendino aveva avuto sempre un comportamento riservato, senza mai esporsi. Vasta mi raccontò che Correnti aveva contatti con tale Grizafi di Corleone… mi disse che era imminente la scarcerazione di questo Grizafi che sicuramente doveva essere a capo dell’organizzazione del territorio di Corleone”. Il riferimento sarebbe a Giovanni Grizzaffi, il nipote di Totò Riina, scarcerato dopo 25 anni trascorsi in cella.

I familiari della vittima erano costituiti parte civile con l’assistenza degli avvocati Francesco Cutraro, Ettore Barcellona, Mariangela Spadafora, Valerio La Barbera, Fabio Vanella, Alfonso Sorge.
Ai difensori non resta che l’inevitabile ricorso in Cassazione per ribadire l’innocenza degli imputati che hanno sempre sostenuto.


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