Paratore, ucciso e bruciato: l'ergastolo a Mario Ercolano - Live Sicilia

Paratore, ucciso e bruciato: l’ergastolo a Mario Ercolano

Accolto il ricorso della Pg: condanna aumentata rispetto al primo grado. La difesa pronta al ricorso in Cassazione

CATANIA – Mario Ercolano è stato condannato all’ergastolo in appello per l’omicidio di Sebastiano Paratore, freddato e bruciato l’11 marzo 2005 in un fondo nelle campagne acesi. La pena, dunque, è stata aumentata rispetto al primo grado in cui il figlio di Iano Ercolano era stato condannato ad una pena di 29 anni e 6 mesi. Un calcolo basato sul riconoscimento delle attenuanti generiche “per il suo comportamento processuale” si legge nelle motivazioni del primo verdetto.

La Corte d’Assise d’Appello ha però accolto il ricorso della Procura Generale (la pm Maria Concetta Ledda) che ha contestato la scelta dei giudici di prima istanza. Una valutazione che a questo punto è stata ritenuta valida dal collegio presieduto dalla giudice Elisabetta Messina che ha alzato la condanna alla pena massima prevista.

I difensori di Ercolano, Barbara Ronsivalle e Maurizio Punturieri, nel corso della discussione hanno invece insistito sui motivi d’appello chiedendo l’assoluzione. “Le sentenze si rispettano, ma in questo caso non le condividiamo. Aspettiamo di leggere le motivazioni che arriveranno entro 30 giorni e presenteremo ricorso per Cassazioni pienamente convinti dell’estraneità del nostro assistito dall’accusa di omicidio”, commentano Ronsisvalle e Punturieri. 

Il quadro probatorio a carico di Mario Ercolano è composto da vari puzzle che provengono anche dai due processi paralleli (con sentenze definitive) a carico di Alfio Catania, condannato all’ergastolo e ritenuto la mano assassina, e quella a 30 anni nei confronti degli uomini d’onore del gruppo di Cosa nostra del rione ‘Civita’ Carmelo Puglisi e Orazio Magrì.

Oltre alle indagini tecniche su celle d’aggancio e studio dei contatti telefonici tra la vittima e i suoi killer, sono arrivate nel tempo le dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia: il primo Alessandro Isaia che aveva indicato Mario Ercolano come persona coinvolta nell’omicidio, ma per averlo saputo dai suoi capi di Picanello, poi Santo La Causa, l’ex reggente dell’ala militare della famiglia Santapaola che avrebbe saputo che per Mario Ercolano l’esecuzione di Paratore sarebbe stato un modo per svegliarlo dal torpore di “addummisciutu”.

A rinsaldare l’apparato accusatorio poi sono arrivate le rivelazioni di Giuseppe Scollo, ex leader del gruppo di Lineri e Carmelo Aldo Navarria, killer e vertice di Cosa nostra a Belpasso. Quest’ultimo avrebbe saputo da parte di uomini di spicco della “famiglia” che Mario Ercolano avrebbe avuto “il ruolo di mandante” in quell’omicidio.

La condanna a morte di Paratore sarebbe stata decisa da Carmelo Puglisi – e condivisa, secondo l’accusa, da Ercolano – perché avrebbe “insidiato” (così si legge nella sentenza di prima grado) la moglie di un detenuto a cui consegnava periodicamente lo stipendio. Una violazione del codice di Cosa nostra punito con due colpi di pistola. 

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