Clan Nicotra, parola agli investigatori e arriva (anche) il pentito Corra - Live Sicilia

Clan Nicotra, parola agli investigatori e arriva (anche) il pentito Corra

Ripercorsi i passi salienti dell'inchiesta Gisella e l'alleanza con i Mazzei. Il nuovo collaboratore rivela alcuni summit.
I 'TUPPI' DI MISTERBIANCO
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CATANIA – Un altro pentito sfila al processo contro il clan Nicotra di Misterbianco, alleati ‘da qualche anno’ dei Mazzei di Catania. Silvio Corra è un esponente della famiglia Santapaola-Ercolano che in pieno agosto – mentre era a piede libero per decorrenza dei termini di custodia – ha deciso di bussare alla porta dei carabinieri per intraprendere la strada della collaborazione con la giustizia. Non è la sua prima volta ‘in aula’ (anche se è in video conferenza da un luogo protetto), l’ex gregario mafioso è stato già esaminato nel corso del processo d’appello Kronos frutto dell’inchiesta che nel 2016 lo ha fatto arrivare dietro le sbarre.

Corra, collegato da un luogo protetto, ha risposto alle domande del pm Marco Bisogni nel corso dell’udienza che si è svolta all’aula bunker di Bicocca. Il pentito ha riferito di alcuni incontri che sarebbero avvenuti al Villaggio Campo di Mare tra i Santapaola e i Tuppi tra il 2015 e il 2016. Ma all’epoca Corra avrebbe avuto un ruolo non di primo piano del clan, quindi alle riunioni non partecipava personalmente. Quindi non avrebbe una conoscenza diretta dei temi che i boss avrebbero affrontato nel corso degli incontri mafiosi. Nel verbale depositato nel processo si fa riferimento a “un’estorsione” da dividere  tra le due cosche a “un signore che aveva un’impresa di pozzi d’acqua”. 

Un imputato che Corra sembra conoscere bene è Giuseppe Piro, con cui avrebbe condiviso un periodo di detenzione. Il pentito racconta un trascorso criminale molto altalenante del mottese. Un periodo nel clan Nizza “prima dei Tuppi” e poi sarebbe andata a finire con il clan Cappello “attraverso Pippo Balsamo”. Piro, infatti, sta affrontando il processo d’appello Penelope, inchiesta del 2017 contro la cosca fondata da Turi Cappello, a seguito proprio di una condanna in primo grado. 

Il processo che vede alla sbarra i capi del clan Nicotra (e anche il carabiniere infedele Gianfranco Carpino) è stato rinviato al prossimo 3 dicembre quando saranno ascoltate alcune vittime di estorsione. Il pm Marco Bisogni inoltre ha depositato alcuni atti investigativi riguardanti alcuni imputati oltre al dispositivo della sentenza dello stralcio abbreviato del procedimento. 

Nelle scorse udienze la parola è stata affidata ad alcuni investigatori che hanno condotto la delicata inchiesta avviata dopo le dichiarazioni di Luciano Cavallaro, il collaboratore di giustizia che si è auto accusato di essere uno dei killer che ha freddato il segretario Dc Paolo Arena nel 1991. Il tenente colonnello Antonio Sframeli – rispondendo alle domande del pm Bisogni – ha ripercorso i passi salienti dell’inchiesta che ha portato i carabinieri a spulciare atti e documenti anche dell’autorità giudiziaria di Firenze, perché i Nicotra dopo la morte di Mario U Tuppu nella sanguinaria guerra con il clan del Malpassotu, Giuseppe Pulvirenti decidono di lasciare Misterbianco alla volta della Toscana.

E qui avrebbero creato un cellula criminale “in particolare – spiega Sframeli alle provincie di Pistoia, Prato e Firenze”. Nel 2009 però si pensa al ritorno in Sicilia, un progetto che Gaetano Nicotra (fratello di Mario) non avrebbe mai messo da parte. E così con i fidati Tony Nicotra e Nino Rivilli “dovevano gestire il gruppo e il rientro”. Ed è qui che si pone l’importanza di siglare l’alleanza con i Mazzei per poter avere ‘una forza di contrattazione mafiosa molto forte’. Un legame con la famiglia di Cosa nostra – che come argomenta il luogotenente Manlio Iacona – sarebbe già emerso attraverso un’indagine del 2011. 

Un passaggio della deposizione di Antonio Sframeli è dedicata alla scomparsa di Jonathan Pasqualino (dal 2015) che il tenente colonnello timbra “come vittima di lupara bianca”. Dalle dichiarazione di Cavallaro sono state anche effettuati dei rilievi in alcuni pozzi con delle sonde “ma non c’è stato alcun esito”. Un riscontro vi sarebbe dalle intercettazioni: “Mettevano in relazioni le nostre ricerche con la possibilità di cercare morti”, spiega l’investigatore. 

In un’altra udienza, invece, il luogotenente dei carabinieri Massimiliano Quattrocchi ha descritto tecnicamente l’attività di intercettazione audio e video che ha permesso di fotografare l’organigramma del clan di Misterbianco. “Quello che noi abbiamo ricostruìto è che al vertice dell’organizzazione vi era lo zio Tano, Nicotra Gaetano, inteso il grande, perché già storico capo di questa organizzazione. Lo stesso si avverava poi della collaborazione di Gaetano Nicotra inteso il piccolo, di Tony Nicotra e di Antonino Rivilli”. 

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