Le sorelle terribili di Corleone - Live Sicilia

Le sorelle terribili di Corleone

Guai a farsele nemiche: chi capitava a tiro era spacciato.
CRONACHE D'ALTRI TEMPI
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In qualunque angolo del mondo ti trovi, se dici “Corleone” ti rispondono “mafia”. Un’associazione di idee automatica, un’etichetta malsana difficile da togliersi di dosso. É un dato di fatto al quale la gente perbene del paese reagisce con comprensibile fastidio, consapevole di avere esportato un marchio di infamia che resterà incollato sulla pelle chissà ancora per quanto, e pazienza.

Vero è che a Corleone sono legate le vicende più truculente della storia siciliana e che qui sono nati i suoi brutali protagonisti, a partire dall’inizio del Novecento: Michele Navarra, Luciano Liggio, Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Leoluca Bagarella, Vito Ciancimino, solo per citare alcuni nomi.

Si potrebbe obiettare, però, che Corleone è anche la città di Placido Rizzotto, il sindacalista che si è battuto contro la mafia fino a lasciarci la vita nel dopoguerra per mano di Luciano Liggio, la città dello scrittore e giornalista Dino Paternostro, da sempre in prima linea contro Cosa Nostra e da qualche anno direttore del bel portale on line “Città Nuove”, la città di Valentina Fiore, amministratrice delegata di Libera Terra, le cui cooperative gestiscono i territori confiscati alla mafia e producono ogni ben di Dio: pasta, legumi, olio d’oliva extravergine, miele, conserve dolci e salate, mozzarella di bufala, limoncello, la città di tanti giovani che sbandierano con orgoglio l’appartenenza a una comunità onesta e operosa.

Questo lungo, doveroso preambolo per dire una cosa che, pur essendo intuitiva, è pur sempre opportuno sottolineare: non tutto quel che succede a Corleone è mafia. Anche se si tratta di cronaca nera. Può accadere, ad esempio, che al centro di episodi violenti ci siano soggetti che con le organizzazioni criminali non hanno nulla a che vedere. Come tre sorelle. Le terribili sorelle Mannina.  

È una storia di parecchi anni fa ma anche rileggerla adesso fa un certo effetto. Erano giovani e rissose, pronte ad attaccare briga se gliene fosse stato offerto il minimo spunto. Guai a farsele nemiche. Con il coltello tra le mani o solo con i pugni la spuntavano sempre loro, Maria, Gabriella e Rosa. Avevano 26, 25 e 19 anni, erano figlie di contadini, permalose e irascibili. Non se ne lasciavano passare una sotto il naso. Chiunque capitasse a tiro era spacciato.

Ne sa qualcosa l’incauto giovanotto sorpreso anni fa a sghignazzare in piazza mentre commentava con parole pesanti come marmo le fattezze delle ragazze, che tutto sembravano, tranne che donne da mostrare nella copertina di una rivista patinata. Un gesto da cafone, non c’è dubbio. E come si direbbe oggi, se l’era cercata.

Era la prima domenica di maggio e nella piazza principale di Corleone sciamava una gran folla. Le sorelle Mannina stavano accodate a una fila di persone per il solito struscio della giornata di festa con le orecchie tese a captare chiacchiere e maldicenze. Dietro quattro ragazzi si scompisciavano dalle risate lanciando occhiate di sfottò a Maria, Gabriella e Rosa. Ferite non nell’onore, ma nell’orgoglio, le sorelle reagirono con violenza.

Si guardarono in faccia, un’occhiata d’intesa e scattò la reazione. In un lampo le fanciulle accerchiarono i ragazzi. Vista la malaparata, tre riuscirono a farsi largo tra la folla e scapparono. Il più giovane, Angelo Gullotta, vent’anni, rimase in trappola. Lo picchiarono di brutto. Pugni, calci, morsi. Una di loro (non si è mai saputo chi) non contenta della gragnuola di colpi, tirò fuori un coltello e si mise a menare fendenti alla cieca lasciando il malcapitato a terra con profonde ferite al torace e all’addome. Risultato: due settimane di ricovero in ospedale, arresto e condanna per le Mannina, inchiodate dalle numerose testimonianze. Tutti avevano visto, tutti fecero i nomi e raccontarono momento per momento la scena di quel pestaggio. Altro che omertà. Il giudice del tribunale era Francesco Ingargiola, lo stesso che avrebbe presieduto il collegio giudicante al processo contro Giulio Andreotti. Le ragazze si beccarono un anno e dieci mesi.

In realtà rimasero in cella appena due mesi. Dovettero, però, risarcire il ragazzo con dodici milioni di lire. Ma non fecero una piega e quando uscirono di galera si mostrarono ai concittadini più agguerrite che mai. “Noi pentite? Per niente – dissero appena rimesso piede fuori – Quello lì deve pentirsi di averci insultato. Era già successo e lo avevamo avvertito. Siamo sicure che non si permetterà più”.

Tutto finito? Per niente. Perché, trascorso qualche mese, le sorelle tornarono protagoniste della cronaca per un nuovo raid, vittime stavolta due giovani sposi che avevano avuto la sventura di incrociare le Mannina in una viuzza del paese troppo stretta per far passare due auto, fermatesi muso contro muso nel bel mezzo della strada. Da una parte una vecchia 500, dall’altra una 127. Una banale questione di precedenza che si sarebbe potuta risolvere con un briciolo di buon senso. Invece nacque un affare di stato

Chi aveva diritto di passare per primo? Le sorelle non si impietosirono. “Passiamo prima noi perché la precedenza, da che mondo è mondo, spetta alle donne”. Dall’altra sponda i coniugi Mannina (solo omonimi) si appellarono al rispetto del codice: “No, passiamo noi perché la nostra macchina è più vicina alla curva”.

Nessuno volle cedere. Marito e moglie si impuntarono: “Noi da qui non ci muoviamo”. Le sorelle replicarono a tono: “Dovete farvela a retromarcia fino all’angolo della strada”. Insomma, tra botta e risposta, come finì potete immaginarlo. Colte dal solito furore vendicativo diedero inizio a una nuova caccia all’uomo. Maria, Gabriella e Rosa, tutte insieme, sgusciarono via dall’auto con l’agilità di tre gazzelle, pronte a menare le mani. Colto di sorpresa, Rosario, 28 anni, non fece in tempo a mettere la sicura e in pochi secondi le ragazze lo tirarono fuori dalla 127 cominciando a scaricare pugni, calci, morsi. In sua difesa intervenne la moglie, Cettina, 25 anni. Invano. Anche lei si prese la sua razione di botte. Dieci minuti dopo gli sposi erano al pronto soccorso piuttosto malconci. Quattro giorni di prognosi per lui, costretto a fare anche l’antitetanica, solo medicazioni alla testa per lei, e una nuova denuncia per le tre sorelle dal sangue caliente. Stavolta però niente processo. Le parti lese rinunciarono alla querela e le terribili sorelle di Corleone poterono così scansare nuovi guai giudiziari. 


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