La pioggia che bagna strade e palazzi i primi giorni del dicembre 1990 costringe i palermitani a riempire le strade del centro come tanti grappoli di ombrelli. E il traffico soffoca via Maqueda e via Roma, dando vita a una scenografia rumorosa e appannata fatta di clacson e smog.
Fra il 4 e il 7 dicembre piove più che in tutti e tre gli anni precedenti a Palermo. E in quei giorni Leoluca Orlando decide di lasciare la Democrazia cristiana, una volta per tutte. La stessa Dc con cui era stato sindaco pochi anni prima. Era il 1985 quando il 38enne professore diventava primo cittadino, portando presto alla guida della città anche i Verdi e la Sinistra indipendente. Una manciata di mesi più tardi anche i comunisti per la prima volta fanno capolino in maggioranza. Per fare questo però Orlando tiene fuori dal perimetro amministrativo i socialisti e allontana gli andreottiani.
“O me o Lima”
E non è un caso che nel 1989 decida di non candidarsi alle Europee: «O me o Lima in lista», la condizione posta dal sindaco. E la Dc sceglie Lima, ma non solo.L’esperienza della prima primavera volge al termine. All’inizio del 1990 la Dc dice basta alla giunta anomala, Orlando si dimette da sindaco ma lotta all’interno del partito.E così a maggio viene rieletto consigliere (l’elezione diretta dei sindaci è datata 1993) con 70mila preferenze. Pochi giorni dopo le elezioni Orlando è a Roma, presenta il suo libro Palermo con Pietro Ingrao. Non un personaggio qualunque, ma l’ex presidente della Camera ed esponente di punta del Pci.
Quando torna a Palermo però lo scenario è chiaro. La “sua” Dc non lo vuole sindaco, nonostante l’enorme successo elettorale. Al suo posto viene scelto e votato come sindaco Domenico Lo Vasco. Siamo a Ferragosto. La frattura diventa insanabile.
Prende forma la Rete
Sono settimane complicate. Già in quei giorni di fine estate Orlando abbozza un nuovo manifesto, ma è in autunno che fra iniziative e interviste prende forma la Rete, «non sarà mai la corrente di un partito, né si potrà mai identificare con un partito; piuttosto può diventare un movimento» spiega durante un’iniziativa a Vercelli a metà novembre. Il professore matura la sua decisione. Lentamente, ma non troppo. E negli stessi giorni in cui Sergio Mattarella diventa vicesegretario della Dc (si era dimesso da ministro dell’Istruzione poche settimane prima) lui lascia formalmente il partito.
Lo fa con due telegrammi, annunciandolo a Famiglia Cristiana. «Ho appena finito di scrivere due lettere una al segretario della Dc e un’altra al capogruppo del comune di Palermo. Lascio la Dc per sempre. Quella che ho in tasca è la tessera dell’ anno scorso e l’ultima». Lo seguono subito due giovani consiglieri comunali, anch’essi eletti con la Dc pochi mesi prima. La neanche trentenne Alessandra Siragusa ed Elio Bonfanti. Saranno la spina dorsale della nuova Rete. Un’altra storia. È il 19 dicembre, la fine di una stagione. Quella dell’Orlando democristiano
la democrazia Cristiana non ha saputo, potuto, voluto, rinnovarsi alla luce delle esistenze esempio di Alcide De Gasperi, Piersanti Mattarella, Tina Anselmi per citarne alcuni.
Assicuro all’estensore del garbato articolo che Orlando, quando decise il salto fuori della Dc, gridò (era nella propria casa) ad Alessandra Siragusa che insisteva piangendo perché prendesse quella decisione: “Sia chiaro, io morirò democristiano!”.
morire democristiano senza il partito trasfuso nella vita democratica del paese. Si e’ buttato il bambino con tutta l’acqua sporca.
e per quanto riguarda l’Europee, va detto che la sinistra democristiana( mattarella, mannino, Nicolosi, gullotti) aveva da tempo scelto il suo candidato nell’ex presidente della regione Calogero lo Giudice. In direzione nazionale nessuno fece il nome di orlando e la questione lista si chiuse in 5 minuti.
Orlando non doveva lasciare la Democrazia Cristiana, doveva lasciare la politica e certamente Palermo ne avrebbe giovato
Purtroppo, per la città, non l’ha fatto.
La farsa della primavera Palermitana.